Resoconto dell’incontro con Aldo Marchetti, sociologo e protagonista del ’68 a Milano (Knulp, 24.2.2018)
Organizzato dai “Compagn* del ‘68”, che partecipa al gruppo di “Quellidel68”. 

Presenti: più di 50 partecipanti, di cui almeno una dozzina di “Quellidel68” e diversi del Collettivo TILT.

Inizia Claudio Venza che precisa che l’incontro è promosso da “Compagn* del ‘68”, un gruppo che partecipa al più ampio gruppo di “Quellidel68”. Dà quindi la parola a Fabio del Collettivo TILT che fa un resoconto della manifestazione antifascista della mattinata promossa da Trieste Antifascista. Buona l’adesione al corteo (circa 5-600 partecipanti) malgrado i pochi giorni di preparazione e il tempo assai sfavorevole. L’obiettivo è stato raggiunto: si è protestato pubblicamente contro la presenza di Roberto Fiore, il leader di Forza Nuova, che comunque non ha parlato in Piazza della Borsa, ma al chiuso alla Stazione Marititma.
Claudio precisa che l’antifascismo fu una delle caratteristiche principali del Movimento del ‘68 a Trieste che adottò, tra gli altri, lo slogan “Italiani e Sloveni uniti nella lotta”. Inoltre afferma che non andrebbe dimenticato che domani, 25 febbraio, è il Cinquantenario dell’occupazione della Facoltà di Lettere, l’inizio di un movimento della durata di non pochi anni.
Prende quindi la parola Aldo che riassume i contenuti di un suo recente scritto “Il Sessantotto. Una storia infinita” (per richiedere il testo completo, scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ).

Aldo descrive un quadro di interpretazioni contrastanti che rinviano al problema più ampio del difficile confronto col passato.
Secondo lui, il cuore della lettura più convincente del ’68 è costituito dalla domanda, semplice e complicata allo stesso tempo,“Perché la gente, a volte, si ribella?”.

In sintesi, secondo Aldo, il ’68 fu una rivolta di tipo culturale e morale che partiva dalla constatazione del ruolo poco chiaro, se non ambiguo, della generazione precedente, quella dei padri. In pratica essi avevano creato, o accettato, Auschwitz e, pochi anni dopo, cercavano un’affermazione personale nel consumismo, un dato caratteristico delle società europee degli anni ’50 e ’60. Una spia del clima dell’epoca è la canzone “Dio è morto” di Francesco Guccini che denuncia la fine generalizzata della speranza.

L’esperienza personale, da studente della Cattolica, lo vide per alcuni anni sotto il controllo istituzionale (per entrare bisognava fare perfino il giuramento antimodernista!) e il Movimento gli consentì di assumere finalmente un ruolo attivo, di aperta contestazione dell’istituzione.

La partecipazione al diverse occupazioni, di cui aveva sottoscritto le mozioni, Aldo fu espulso con una lettera personale del Rettore. Questo documento storico che mostra il rifiuto del confronto da parte del vertice è quindi letto da Gabriella Gabrieli (se interessa, scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).

Aldo afferma inoltre che la lotta alla Cattolica era influenzata dal dibattito in corso da qualche tempo negli ambienti cattolici sul loro posto nella società italiana. Tale fatto venne considerato dal potere accademico come un pericoloso traviamento marxista di giovani già fedeli alla Chiesa.

Bruna Zorzini sottolinea il fatto che nel 1968 inizia a frequentare l’Università anche se proviene da una famiglia operaia. E’ un indice dei cambiamenti in atto nella popolazione studentesca. Afferma che al tempo gli studenti impegnati erano già notevolmente diversi da tutti gli altri.
Borut Zerjal fa due domande: che relazione e che giudizio aveva il Movimento con il socialismo jugoslavo e con la Primavera di Praga? E quale fu il rapporto col gruppo etnico sloveno locale?
Melita Richter interviene per parlare della natura radicale del ’68 che coinvolse sia studenti di Zagabria sia di Belgrado. Qui da anni si pubblicava Praxis, una rivista di filosofia e di sociologia che dibatteva sul regime mettendo in evidenza le contraddizioni dell’esperienza socialista in atto. La repressione entrò in azione, ma l’intervento dello stesso Tito pose fine a questa manovra dell’apparato e così ricondusse il Movimento ad un dibattito costruttivo e non più apertamente contestativo. Mette in evidenza come Zagabria e Belgrado fossero molto vicine e solidali, cosa che oggi potrebbe sorprendere.
Gianfranco Carbone rievoca la propria condizione di liceale che iniziava a interessarsi di politica. Indica un limite del ’68 locale nel non aver espresso solidarietà ai movimenti, anche studenteschi, dei paesi dell’Est. Aggiunge che il ’68 in Italia creò un ambiente di discussione globale che favorì la successiva conquista di diritti civili quali il divorzio, l’aborto, l’obiezione di coscienza.
Daniela Nice sostiene che il ’68 significò un’opposizione dura alle ipocrisie della Chiesa cattolica, della famiglia e del dominio maschilista. Cita anche l’influenza, tuttora poco conosciuta, delle elaborazioni di un gruppo di teologhe statunitensi le quali diedero l’avvio alla contestazione femminista.
Franco Schenkel ricostruisce la propria esperienza di studente di Architettura a Venezia, sede da cui si allontanò in quanto bloccata da una lunghissima occupazione di circa 8 mesi. Quindi si trasferì, anche per pressioni familiari, e verso la fine del 1968, giunse a Trieste dove prese subito contatto con vari studenti già molto attivi. Rievoca poi un fatto cruciale per quel periodo: nel dicembre 1968 il Movimento riuscì ad annullare l’apertura dell’A.A. 1968-69 occupando l’Aula Magna. Da questa azione si passò alla formazione di Comitati di Lotta nelle varie Facoltà e lui partecipò in pieno a quello di Ingegneria.
Dario Pacor mette in evidenza una contraddizione che è emersa di recente in un’intervista a Franco Piperno, uno dei leader del ’68. Da un lato questi rifiutò di attribuire al Movimento intenti anticonsumisti e dall’altro ribadì che le rivendicazioni intendevano, in sostanza, ottenere concessioni materiali.
Melita risponde per dire che, nella propria esperienza, la richiesta di redistribuzione della ricchezza fu fondata e legittima. Simile obiettivo interessò anche gli studenti in Jugoslavia e qui era diretta contro i privilegi della “borghesia rossa”, una classe al vertice del sistema. Insomma queste rivendicazioni sostanziavano una volontà di giustizia sociale. Aggiunge che, pochi giorni prima, in un incontro intergenerazionale in una scuola triestina ha potuto constatare come gli studenti di oggi siano all’oscuro della stessa esistenza del ’68.
Dopo varie sollecitazioni, una studentessa ha preso la parola per dire che il ’68 aveva rovinato la scuola e dato spazio a molti insegnanti ignoranti.
Federico Denitto annuncia l’importante appuntamento dell’8 marzo per lo sciopero generale femminista e invita tutti a partecipare. Cita poi un libro sulla Banda Bellini, un gruppo milanese di quartiere, che si accorse dell’arrivo del’68 per una maggiore disponibilità sessuale delle ragazze.

Si sviluppa quindi una serie di interventi attorno alla legalizzazione della pillola anticoncezionale, un provvedimento che, afferma Roberto Ferri, non sbloccò il rifiuto di molti medici nel dare la relativa ricetta.

Tra i vari interventi, si registra uno di Fabio (TILT) che considera questo incontro più che altro come un momento nostalgico e che sente uno scarto notevole tra questi discorsi e la realtà che ci attornia. E cita il fatto che mentre qui si discute, a un metro oltre la tenda del Knulp, i giovani si occupano di tutt’altro.

Claudio diffonde un volantino che dà conto del contesto locale triestino e dei passi successivi al febbraio 1968. 

Espressamente invitato, prende la parola Sergio Premru, studente di Sociologia a Trento nel 1968, che riporta il giudizio di un…questurino. Questi affermò, in una rievocazione svolta nel 1988, che in sostanza il Movimento del ‘68 fu molto moderato in confronto a quello del ’77 assai più sovversivo e violento.

Al termine si ringrazia Aldo Marchetti per il discorso introduttivo che ha stimolato un confronto vivo e articolato.

L’incaricato: Claudio Venza (Nota: è stato inevitabile riprodurre solo parte degli interventi)

(Allegato n. 1 - Comunicato)

Incontro con Aldo Marchetti, “Il Sessantotto. Questioni generali ed esperienza milanese”.
Al Knulp, sabato 24 febbraio dalle ore 18.
Aldo Marchetti, nato a Trieste, si iscrive nel 1965 all’Università Cattolica di Milano. Ben presto si emancipa dai condizionamenti subiti e partecipa in pieno al Movimento del ’68 che sconvolge anche l’Ateneo clericale. Contribuisce a promuovere ripetute occupazioni e frequenti interruzioni delle lezioni per superare le condizioni di subordinazione e alienazione degli studenti. Per reprimere il Movimento, il Rettore espelle i più attivi, tra cui Aldo che termina gli studi alla Statale con una tesi di Filosofia. Svolge quindi molta ricerca sociologica sul campo, anche in paesi ex coloniali, e insegna in diverse Università dentro e fuori dell’Italia. Ha scritto volumi di sociologia e vari saggi sul Sessantotto. Tre suoi interventi sono pubblicati sulla monumentale antologia di Giampaolo Borghello, Cercando il ’68, Udine, Forum, 2012 (da poco ristampato) Compagn* del ’68 a Trieste

(Allegato n. 2)

IL CONTESTO LOCALE DURANTE E DOPO IL ‘68
A Trieste, esattamente 50 anni fa, occupavamo la Facoltà di Lettere seguendo l’esempio di altre decine di sedi universitarie.

Si creava un ambiente politico e umano ricco di stimoli e di impegno. In un paio di settimane cambiò la vita di almeno un centinaio di studenti e iniziò un processo che porterà, nel 1970, a occupare l’intera Università Nuova con assemblee di quasi 1000 studenti. “L’Università è nostra!” non era solo uno slogan, ma una realtà che andava dalle assemblee spontanee ai gruppi di studio, dal boicottaggio delle lezioni cattedratiche all’avvio dei seminari autogestiti. La lotta antiautoritaria conosceva sviluppi sorprendenti e il clima complessivo dell’ateneo emarginava i superstiti gruppi di goliardi parafascisti.

Il Movimento si basava sulla molteplicità dei Collettivi di Lotta nelle singole Facoltà, sulla disponibilità a coinvolgere “Italiani e sloveni uniti nella lotta!”, sulla volontà di opporsi alla selezione di classe e al condizionamento culturale. Si riusciva anche a solidarizzare con le agitazioni operaie del 1969 e a contribuire alla nascita del femminismo. Col “rifiuto della delega” e “l’azione diretta simbolica” maturavano molti studenti, universitari e medi, che scoprivano grandi potenzialità individuali e collettive. Dalla gabbia lezioni- studio-esami si uscì per rendersi conto che un’altra società era non solo auspicabile, ma realizzabile. La conoscenza cominciava a liberarsi dalle catene istituzionali e gerarchiche per muoversi sul terreno dell’eguaglianza e dell’autogestione.