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S
i è tenuto sabato, nel Carso, un "incontro conviviale - assemblea" del gruppo "Quelli del '68”. Un incontro molto partecipato: una trentina di persone e una sempre maggiore presenza di donne che hanno partecipato al Movimento e ai suoi momenti di discussione e azione, assemblee, comitati di lotta, manifestazioni, gruppi di studio, occupazioni...Un intervento di Mauro ha ricordato come stavano giovani donne e uomini iscritti o vicini al Partito Comunista Italiano nel periodo in cui facevano parte del movimento studentesco. Il loro rapporto di autonomia sostanziale rispetto al Partito. L'evolversi politico ed umano della loro esperienza.
Ricordiamo, come detto più volte, l'originalità del Movimento Studentesco a Trieste, in cui le difficoltà dovute ai riferimenti politici diversi sono state via via affrontate e via via superate. Il lavoro e le lotte hanno portato a una unitarietà vincente.
Nelle conversazioni il ricordo, l'esplicitazione dei percorsi personali -anche nel presente -, la discussione sulla situazione politica e sociale attuale nel territorio e nel Paese si sono intrecciati. Un vero "incontro" tra persone che hanno visto il passato come tappa fondamentale per le proprie scelte di vita.
Incontro di maggio e ricordo di Ramacciotti
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Come le altre volte, la sede dell'"assemblea", l'ultima per questo 2021, è stata l'agriturismo Jozko Colija,a Samatorza / Samatorca, nel carso triestino.
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Trascrizione (parte ⇒prima, ⇒seconda, ⇒terza) - Articolo ⇒principale
[Liani 1:18:48]
Il '68, ormai è chiaro anche dalle vostre esperienze, è stato un movimento, un momento di contestazione globale che ha riguardato qualsiasi potere costituito, in particolare il potere centrale, il rapporto col potere centrale nella riscoperta delle proprie identità culturali, cosa ben diversa, secondo Giorgio Cavallo, dal risveglio autonomistico degli anni sessanta, perché è una cosa diversa.
Rapporto territorio - potere centrale nella riscoperta delle proprie identità culturali
[Cavallo 1:19:26]
Prima Borghello ha tirato fuori una battuta, io nel '68 non era la prima volta che votavo, però votai ambiguamente un po' rosso un po' bianco, cioè votai PSIUP al Parlamento e Democrazia Cristiana alle elezioni regionali, che erano contemporanee, per conoscenza diretta. Voi capite che c’è un momento di passaggio, abbastanza interessante. Peraltro chiarisco, prima non l'ho detto, che nel '68 - '69 io combattevo la guerra fredda a fianco della NATO, ero ufficiale dell'aeronautica addetto al lancio di missili con testata nucleare, tanto per capire, e questo in qualche modo ebbe una certa influenza sulla mie posizioni politiche successive, perché quando capii che queste testate potevano arrivare non solo su Trieste, come ho detto una volta in Consiglio Regionale - tutto sommato non mi dispiaceva - ma anche sul Friuli… facendo arrabbiare i miei amici della lista per Trieste... Insomma mi pare che questo modo di difendersi buttando le testate nucleari su un territorio... non abbia un significato molto “interessante” per le popolazioni: quei poveri 100 mila dell'esercito che erano lì non lo sapevano che in realtà loro sarebbero finiti malamente, in caso di invasione dall'Est, diciamo “adeguatamente” organizzata...
Qui nasce in qualche modo, all'inizio degli anni settanta, una componente di pensiero in Friuli che non è più la tradizione autonomista del primo dopoguerra, quella del movimento autonomista friulano, quella che in qualche modo diede origine al Movimento Friuli, la battaglia per l'Università, la protesta dei preti eccetera: nasce da una scoperta, quella di identificare il Friuli come Nazione, quindi identificare le caratteristiche linguistiche, culturali, territoriali, come momento di “Nazione non riconosciuta”, e che quindi avrebbe dovuto lottare per i suoi obiettivi, come all'epoca si pensava per le altre nazioni.
Qualcuno aveva come riferimento anche (...) quindi una Nazione deve avere uno Stato, una economia e così via...
Questo pensiero non nasce qui autonomamente: è un pensiero che gira nell'Europa, una delle componenti del pensiero del movimento del '68, che addirittura ho ritrovato ultimamente nei documenti della CUP catalana, l'estrema sinistra catalana, che secondo me fa delle analisi un po' datate; in qualche modo la lotta anticapitalista si fa attraverso una lotta “anticoloniale”, sulle colonie interne, e all'interno di queste colonie c'è la lotta di classe, tanto per schematizzare. Allora si scoperse questa novità. Alcuni, anche all'interno del movimento Friuli, furono portatori di questa [novità], da cui nacque il tentativo di riconoscere la lingua non come strumento culturale, eredità storica, discostando da quello che la Filologica aveva fatto nel periodo precedente, dal '19 in poi, [del Friuli] come "Piccola Patria", guardia di frontiera della Nazione Italiana, quindi per difendere dal pericolo jugoslavo e tedesco come compare nell'inno, ma come necessità di ricostruirsi, così come in Irlanda, così come nei Paesi Baschi, così come in Corsica e in altre realtà dell'Europa. Questo filone, che non è mai stato riconosciuto fortemente, ma si chiama “nazionalitario” , in qualche modo è stato molto presente in quel periodo, e ha prodotto un dibattito interessante, nel senso che alcune di queste realtà europee di cui parlavo, in genere poi svilupparono la lotta armata, per riconoscere la loro Nazione. E’ chiaro che la lotta armata nacque nei Paesi Baschi sotto Franco, aveva il suo significato, nell'Irlanda la supremazia dei protestanti in Irlanda del Nord determinò quelle situazioni di conflitto e di mortalità di cui parlava poco fa Donato.
Qui invece fu un ragionamento che prevalse, in particolare soprattutto dopo il '76, con il lavoro svolto da associazioni o movimenti culturali come “Glesie Furlane”, quindi con un forte radicamento nella Chiesa Cattolica, il ragionamento fu "Bisogna trovare all'interno della democrazia, della Repubblica Italiana, all'interno della Costituzione, gli strumenti per avere il riconoscimento di questo tipo di realtà, che vuole dire riconoscimenti linguistici, ma anche riconoscimenti istituzionali, come la “Regione Friuli”. Ecco, questa è un po’ una roba poco conosciuta, diversa da quelle che poi furono anche forme di autonomismo, che si svilupparono in quegli anni, e che comunque erano vicine e parallele, e chiedevano evidentemente più poteri di governo sul territorio, più soldi. Questo discorso fu molto vissuto nel periodo successivo al terremoto, in quelli che furono un po' i momenti di autorganizzazione, prima delle tendopoli e poi dei paesi terremotati, ma direi che è un filone particolare che in qualche modo torna molto di attualità oggi - questo è in parte il mio pensiero - nel momento in cui c'è la crisi dello Stato-Nazione, la crisi di tutti gli Stati-Nazione, e quindi un processo di trasformazione, di cui non sappiamo bene quale sarà il futuro.
Quindi noi, diciamo, abbiamo avuto una storia “gloriosa”, la chiamo così, nella prima Repubblica, fino al '93, e un po' meno gloriosa dal '93 al 2018, e con il 2018, oggi, abbiamo una maggioranza, una esistenza politica che non c'entra più nulla con i costituenti: si tratta di forze politiche e modo di pensare e organizzare il termine di confronto politico in maniera completamente diversa, e, cosa ancora altrettanto interessante, non c'è più una maggioranza sicuramente a favore della NATO.
[Liani 1:26:19]
Dorigo, partendo proprio dall'ultima riflessione fatta nel primo intervento, il terrorismo,
Il terrorismo
[Dorigo 1:26:29]
Sì, ma prima un chiarimento, una nota. Io prima ho detto che mi rendevo conto perfettamente di quelli che allo Stellini erano figli di operai, e a loro do il massimo del rispetto, anzi… dopo di che restava il fatto che quella scuola era la scuola dell'élite, insomma della futura classe dirigente e le élite a noi stavano tutte quante sapete dove... ([Liani]sull'anima) ecco, sull'anima.
Altra questione, io mi rendo conto per primo che adesso, rispetto allo Statuto dei lavoratori, all'articolo 18 siamo tornati indietro: cerchiamo di non arretrare troppo e l'impegno del sindacato in questo momento è tutto lì.
Dopo di che il terrorismo, la violenza, va beh, io sono uno di quelli che andava a buttar giù portoni, nelle fabbriche, quando non volevano farci entrare pur essendo in vigore lo Statuto dei diritti dei lavoratori, e questo succedeva in Friuli: legge dello Stato che non veniva riconosciuta da tanti piccoli imprenditori friulani. Quindi sì, la violenza c'era, anche l'avvocato Adriano Virgilio lavorava per noi, H-24 con Businello, per venirci a prendere qua e là, nella caserma dei carabinieri, perché fummo processati, fummo assolti. Quindi sì, c'era un clima anche, insomma, di tensione; quanto questo clima poi abbia prodotto 'terrorismo' io non lo so, probabilmente ha ragione Donato che ci sta facendo uno studio sopra, però va bene, saranno le cifre che dice Donato, nude e crude a dare uno spaccato di realtà molto diverso da quello che viene presentato anche strumentalmente, ad arte, rispetto a quel periodo, però qui ce le ricordiamo tutte le vicende che ci furono, in quel periodo, relative alla presenza... beh, insomma Taliercio l'hanno ammazzato a Tarcento.
Io ero segretario della CGIL a Gemona, nell'immediato dopo terremoto, facevo le assemblee contro il terrorismo, e seduti in prima fila erano quelli di Gemona che facevano i postini per le Brigate Rosse. Nelle fabbriche, alla Bertoli ne avevo due, non faccio i nomi: baruffoni ogni giorno con loro perché non gli andava mai bene niente, poi salta fuori che li arrestano e sono brigatisti. Le vicende fuori dal manicomio, all'ospedale… adesso è inutile qui fare i nomi, li conosciamo tutti, ma la presenza c'era insomma. Qui, non... non parlo di "album di famiglia" però: tensione, scontro perché negarlo... Dopo di che... alcuni hanno percorso quella strada altri meno. Io non avrei mai ammazzato nessuno in vita mia, per Padrone che potesse essere, per dire, quindi non avrei mai preso una pistola in mano per fare del male a qualcun altro, in quel modo. Quindi in quel periodo io penso di ritrovare tutte queste tensioni, non le nego. Partiamo dal fatto di quando andammo dal Questore, dal Capo di gabinetto: eravamo noi più spaventati di tutti, primo perché pensavamo a una provocazione della polizia, quella era stata la prima roba, "adesso vengono a prenderci", io lavoravo ancora in fabbrica e quella notte non ho dormito "adesso mi arriva la camionetta", poi perché ci rendevamo conto che c'era una presenza che ci aveva “segnalato”, ci avevano presi di mira, ci *conoscevano*, e la cosa non era simpatica, tantomeno negli anni dopo, quando noi, per primi, fummo nella battaglia contro il terrorismo e contro il brigatismo. Le grandi manifestazioni operaie: il brigatismo prima che sul piano militare e Dalla Chiesa è stato battuto dai lavoratori, non è uno slogan. [Applausi]
Allora c'è tutto questo e anche di più, che vien fuori andando indietro con la memoria, ritornando a quegli anni. Adesso... eh, adesso... vedano i giovani quello che intendono fare loro, io non mi permetto di dare o non dare consigli, non do consigli, io ho vissuto quell'esperienza, quella esperienza si è conclusa, ha segnato l'esistenza mia e di tanti altri come me, ci ha portato a dare consapevolezza, la prima fra tutte: torno da dove ho cominciato... "fâs chel, fâs che l'altri...!", “Cemut!, io, operaio trasformo ogni giorno con le mie mani e la mia testa a materia, produco!” - Trentin ha scritto un librone "Da sfruttati a produttori" – “e devo subire, tacere, fare quello che mi dice, ma ti ribalti, no, senza di me il mondo non va avanti se c'è una classe in grado di trasformarlo, questo mondo, è proprio la classe operaia”, e allora Avanti Popolo!, da quel punto di vista lì. Ho finito.
[Liani 1:32:50]
Grazie. Ti do un motivo in più, ho fatto lo Stellini anch'io da studente, [Dorigo - si intuisce...] però non ho fatto parte della classe dirigente.
[Borghello 1:33:04]
Una battuta sullo Stellini, visto che dobbiamo difenderci! No, no, ma è una battuta in linea: quando anch'io lo frequentavo, si diceva che nello Stellini ci sono quelli delle vecchie classi dirigenti, tutte le classi dirigenti, figli di medici, notai eccetera, e poi ci sono i bravi.
[Liani 1:33:29]
Da studente a operaio, a sindacalista: alla fine ha vinto il sistema. Muradore?
Alla fine, ha vinto il Sistema?
[Muradore 1:33:30]
Una domanda da niente: ha vinto il sistema? Mi verrebbe voglia di dire di sì, perché per quanto riguarda la condizione dei lavoratori nello specifico - veniva detto prima - le condizioni dei lavoratori non sono migliorate, negli ultimi anni. Assistiamo a forme di sfruttamento inedite, anche, vediamo lavoratori che girano in bicicletta a portare cibo in giro per famiglie, appunto, piccolo borghesi, che non si muovono e chiedono cibo in casa, vediamo nella logistica gente con bracciali che vanno a mettere a posto, le robe per gli scaffali, vediamo situazioni inedite, però di sfruttamento vero e proprio, con un controllo che è scientifico proprio, da laboratorio, altro che legge 300, vediamo stipendi più bassi. Vediamo, in definitiva, una roba che mi fa imbufalire: da anni la sinistra innanzitutto batte il chiodo sui diritti civili, giustamente, ma è dimentica dei diritti sociali. [Applausi]
Questo è un problema, è un problema. Il sistema avrebbe vinto a parer mio anche perché la storia poi la scrivono i vincitori, no, dicevi, siamo diventati vinti, no... Allora ha vinto il neoliberismo, in definitiva, non ci sono i lavoratori produttori, ma ci sono i consumatori che sono importanti, o no? Ci han ridotti a beoti consumatori, grosso modo. La Thatcher ha avuto purtroppo una ragione profetica, quando ho detto non c'è più la Società, ma ci sono individui, siamo monadi egoistiche, avide, stupide, singole, non riusciamo a fare più collettivo, c'è soltanto la dimensione individuale, siamo autosufficienti anche grazie le tecnologie che abbiamo in casa, e questo non aiuta la socializzazione e il collettivo.
C'è stata una mutazione antropologica, la più veloce nella storia dell'umanità, negli ultimi 30 anni: è stata indotta. E' un bel problema questo per il sindacato che vive e promuove una dimensione collettiva, ovviamente.
Il ritorno al passato... io non ho nostalgie, non le voglio chiaramente, ma credo che o ritorniamo a parlare di comunità, di società, di diritti sociali, oppure veramente siamo rovinati, perché ce ne siamo dimenticati. Operaio, per i figli di papà “operaio è bello” perché non sapevano che operaio era farsi un culo in fabbrica, “operaio è bello”: ecco adesso operaio non è nemmeno bello!, in termini ideologici, l'operaio non c'è più, non c'è più, nel senso che il lavoro, i lavoratori sono dimenticati. E' un problema, un problema serio, culturale, hanno vinto in termini culturali, hanno vinto. E' questo che mi fa paura, provocando un cambiamento "dentro", antropologico.
Però ritengo che comunque il '68 non vada né glorificato né santificato, perché facendo così viene "archiviato". Dobbiamo riprendere quelle inquietudini, dobbiamo riprendere quella voglia di cambiare il mondo, qualcuno diceva, e dobbiamo riprendercela quella roba là, perché altrimenti davvero le cose stanno peggiorando - e sono già peggiorate - in modo "verticale". Io credo che, che questo sia anche possibile, se le forze politiche di sinistra e se il Sindacato, invece di pensare ai soliti noti, pensa a quel nuovo proletariato che c'è, e che non rappresenta.
"Ha vinto il Sistema", sì, secondo me, e chiudo, in sala è presente Andrea Valcic, che non ha partecipato a questa baraonda perché il candidato Sindaco di Udine, per cui non era corretto farlo partecipare, chiudo con la dedica molto tenera e dolce che ha fatto a mia sorella, ho iniziato con mia sorella e chiudo con mia sorella. Si sono conosciuti e ha fatto una dedica sul libro che Andrea ha fatto tanti anni fa, poi ho fatto anche una riedizione. Non è un'operazione nostalgia, è molto tenera e dolce, che quegli anni sono stati anni di piombo, sono stati anni anche di passione calda, di dolcezza, anni belli creativi: "A Sonia con rispetto per la copertina di plastica - perché si usava fare così ai libri - un odore di quaderni e cartelle anzi di elastici, e di scarpe di ginnastica. Gioventù, ideali. La ‘meglio gioventù’, direbbe Pasolini, non lo sappiamo, ma l'abbiamo vissuta tutta d'un fiato".
[Liani 1:39:03]
Bene. Elia Mioni, il rapporto con il territorio, considerato fondamentale, lo hai illustrato e spiegato molto bene prima, ma è vero, come dice qualcuno, che allora era più facile parlare del Vietnam che della condizione nelle fabbriche nel manzanese, ad esempio?
Era più facile parlare del Vietnam che della condizione nelle fabbriche?
[Mioni 1:39:24]
Mah, credo di sì, ma anche perché il ricordo che ho io è un ricordo, come dire, un po' diverso dalla lettura politica che altri hanno fatto, nel senso che, almeno per quanto mi riguarda, per tutto un periodo, il movimento degli studenti è stata una questione sostanzialmente urbana. Perché urbana? Perché le scuole erano nelle città, perché appunto c'erano alcune città che “dettavano la linea”, perché poi quello che avvenne dopo era fatto da gruppi extraparlamentari, di sinistra rivoluzionaria che dir si voglia, che in qualche maniera avevano una linea da applicare, e i punti massimi erano a Milano per un gruppo a Roma per un altro.
Però, al di là di questo, nel territorio, e lo si impatterà credo con il '76, con il terremoto, accadranno delle cose che confermano quello che dicevo all'inizio: parlavo di esperienze autogestite, di autogestione, di democrazia diretta. Ad amici e compagni di Gemona che sono qui, è il caso che il terremoto faccia venire in mente l'esperienza del coordinamento delle tendopoli e poi dei paesi terremotati, quindi una forma di politica dal basso. E’ stato scritto anche un libro, da un giovane studente dell'università di Udine, di Gemona, che credo dica molto da questo punto di vista, ho presente un libro di uno di CL che diceva "Ecco quelli di Avanguardia Operaia che a Gemona egemonizzano il movimento dei terremotati...": questo dava l'idea, di che cosa accadendo.
Vorrei prendere lo spunto da quello che diceva Gino poco fa, personalmente ho un'altra dimensione di quegli anni, nel senso che per me la questione del terrorismo, della violenza, ha avuto un rilievo tutto sommato diverso, forse per impatto personale, forse perché il ricordo è diverso, ma invito a cogliere l'occasione di leggere il libro "La violenza, la rivolta", mi è capitato di leggerlo per un'altra occasione: è una raccolta di documenti che a chi interessa può aiutare a ripercorrere quegli anni, anche a seconda delle sedie in cui erano seduti - Lotta Continua piuttosto che Avanguardia Operaia o quello che era - perché, coglie con i documenti dell'epoca, con le linee politiche dell'epoca un percorso che non era tutto sommato banale e che non per niente ha portato molti a continuare poi un'esperienza politica anche dopo quel biennio, e ha portato altri ad abbandonare.
Poi alla fine le cose non sono mai casuali, ci sono gli aspetti personali, ma ci sono anche gli elementi di cultura politica, che orientano su una scelta piuttosto che su un'altra.
Mi sembra che tutto sommato alla fine nessuno abbia rispettato il discorso del "'68, un anno", tutti abbiamo parlato di un periodo perché questo è nei fatti. Io credo che quel ceto politico, chiamiamolo così, quelle migliaia di militanti, quell'onda lunga di "combattenti per il socialismo", l'ultima leva, di cui parlavo all'inizio, ha saputo superare quella dimensione del "conflitto militare", ed è stata anche quella una battaglia politica.
Si parlava di Vietnam, gli slogan aiutano molto: "Vietnam vince perché spara", "L'imperialismo è una tigre di carta", il "Tradimento del '45", imputato al Partito Comunista, sono tutti elementi di lotta politica e culturale fra i rivoluzionari e i riformisti o revisionisti, che dir si voglia, a seconda dei gerghi dell'epoca, in cui alla fine era in discussione una dimensione dello scontro politico, un accettare una cornice - poteva essere Jalta o poteva essere altro - in cui poi però la Cina aveva un posto, la Russia un altro, gli Stati Uniti un altro ancora; tutto sommato un periodo molto diverso. Cito Cavallo: un periodo molto diverso da quello odierno in cui, se ho capito bene, l'unico Partito "atlantico" è di centrosinistra, in questo momento in Italia, e questo dà l'idea, del mondo che cambia.
Però - e chiudo - quella generazione politica ha fatto dei passi in avanti, anche sulla questione della violenza, perché poi, se non sbaglio, nei primi anni settanta, al tempo dei Pershing, dei Cruise, come dislocamento della risposta agli SS-20 sovietici, c'è stato un movimento pacifista che non era quello dei "Partigiani della Pace" degli anni cinquanta. La politica culturale ed era accompagnata da cose come la “Lega degli Obiettori di coscienza”, rispetto al problema dell'esercito di leva, e da [un discorso] sull'uso della violenza, come sull’uso dei “Corpi” per controllare la Società, discorso interno ai PID. E’ appunto diventata “altro”: obiezione di coscienza, superamento dell'esercito di leva, non-violenza nei rapporti politici e sociali, che si è accompagnata se vogliamo al femminismo per un verso, se vogliamo ad altre cose per altro...
Quindi credo ancora in un lievito, una capacità di aggiornare - siamo anche nel duecentesimo della nascita di Marx - un pensiero socialista, che ha portato all'ambientalismo, al discorso sulle autonomie locali, al discorso di un Sindacato che superava le “storie” del novecento e puntava a un'unità che non ha più. Un percorso positivo che ha dato tutto quello che poteva dare, credo. [Applausi]
[Liani 1:46:23]
L'ultimo contributo... l'ultimo contributo a Gabriele Donato. Lo hanno sottolineato gli oratori che hanno parlato prima di Lei, parlando della strategia della tensione. Quanto inquinò, se inquinò, il '68, la strategia della tensione?
La strategia della tensione inquinò il '68?
[Donato 1:46:44]
Partiamo da una evidenza. Secondo alcuni la violenza avrebbe dovuto consentire a quella rivoluzione di trionfare, in realtà la violenza fu un vicolo cieco, contro il quale quella rivoluzione andò a sbattere, o contro il quale alcuni vollero che quella rivoluzione andasse a sbattere, ed è difficile capire effettivamente quanto quel che successe, in termini di violenza, fu il prodotto di quell'ondata di contestazioni o il prodotto di altri ragionamenti, fatti in altri ambienti, per orientare quell'ondata di mobilitazione, e difficile a distanza di decenni e, consentitemi di utilizzare le parole di un protagonista di quell'epoca, per evidenziare questa difficoltà.
Lo ha scritto Vincenzo Vinciguerra - non serve che io vi spieghi chi sia il personaggio in questione - "Nel gioco di specchi e molto difficile distinguere l'immagine riflessa da quella reale, la guerra politica dell'epoca è stata anche un gioco degli specchi. Quanti finti fascisti, quanti finti comunisti, quanti finti anarchici vi hanno preso parte?".
Queste sono domande che stanno ancora ad animare il dibattito fra i ricercatori e gli storici che si sforzano di fare luce su quelle vicende, e sono domande che scaturiscono da tutto quel che facciamo rientrare all'interno della cosiddetta "Strategia della tensione", che sicuramente ha avuto un'influenza nel corso di quegli anni, una strategia tensione che è stata animata ben prima di quel che è successo a Milano nel dicembre del '69.
Proprio a voler insistere sul '68 cito esclusivamente tre episodi, che però vi fanno intuire rapidissimamente quanto quella strategia fosse operativa da parecchio tempo prima, rispetto alla strage di Piazza Fontana. Sappiamo che agli scontri di Valle Giulia, all'inizio del marzo del 1968, parteciparono i fascisti di Avanguardia Nazionale, e la cosa ci mette ancora nelle condizioni di ragionare sull'influenza che ebbero in quelle ore, il manipolo di quei fascisti nel corso di quella giornata di scontri. Secondo episodio, alcune settimane più tardi a metà aprile, una cinquantina di neofascisti italiani va in viaggio nella Grecia dei colonnelli, grazie alla supervisione del dell'UAR, ufficio affari riservati del ministero degli interni, che collaborava con i servizi segreti della Grecia dei colonnelli. A metà di settembre di quell'anno nasce il Fronte Nazionale, del Principe Borghese, e anche questa operazione sta all'interno di ciò che tradizionalmente identifichiamo con la "strategia tensione", che è quindi operativa nel corso del 1968. Lo era già in precedenza, era stata discussa nelle sue linee fondamentali negli anni precedenti, a metà degli anni sessanta: nel 1965 si organizza in questo Paese un convegno, in cui per noi la parola i vertici dell'esercito, i vertici dei servizi segreti, giornalisti importanti, dirigenti del Movimento Sociale Italiano, per ragionare di quel che stava diventando, dal loro punto di vista, la guerra non ortodossa, scatenata dai comunisti per conquistare il potere, e per reagire a quella "guerra non ortodossa" gli attori della strategia della tensione mettono in campo tecniche di guerra che loro stessi definiscono "non convenzionali".
Immediatamente ci immaginiamo quei personaggi come i "cospiratori" che hanno pensato alle stragi che hanno insanguinato questo Pese, ma non ci furono solo le stragi, ci fu un'operazione di infiltrazione sistematica nei gruppi della sinistra rivoluzionaria, ci furono provocazioni sistematiche all'interno dei cortei, delle manifestazioni, manipolazioni di vario genere, operazioni condotte sotto "falsa bandiera" - si diceva all'epoca - depistaggi sistematici. Tutto questo ha funzionato all'epoca.
Lungi da me l'idea di proporvi un'interpretazione di quegli anni come qualche cosa di "orchestrato dall'alto" o da qualche posizione nascosta, da qualche abile cospiratore, ma certamente operazioni di questo genere furono messe in campo. Perché? Perché era necessario evidentemente suscitare un bisogno d'ordine era necessario suscitare un bisogno d'ordine, era necessario immobilizzare un Paese nella paura, era necessario generare il panico era necessario far crescere la percezione dell'insicurezza, per determinare una svolta politica di tipo autoritario.
Beh, quando ho sintetizzato queste espressioni per ragionare con voi di questi argomenti, mi sono venuti i brividi, perché è chiaro che parlare oggi di come si può suscitare il bisogno d'ordine facendo crescere la percezione dell'insicurezza in seno all'opinione pubblica, è qualche cosa che fa venire i brividi. [Applausi]
[Liani 1:52:19]
Grazie. Prego... 30 secondi
La lotta delle donne nel Commercio
[Morassi 1:52:19]
Allora come minoranza, nel senso che lo è, volevo dire che le lotte sindacali non sono state parte solo nella fabbrica di Dorigo, eh... No, perché qua si parla sempre e solo delle fabbriche, che hanno fatto le lotte. Io ho lavorato del commercio per quarant’anni e vi assicuro che alla Rinascente UPIM noi abbiamo fatto delle lotte, e non poche, perché eravamo nella situazione, come dicevano loro nelle fabbriche, di lavorare male, ma noi avevamo i controlli due volte al giorno, prima di uscire ci palpeggiavano per vedere se non avevamo rubato qualcosa, se qualcuna era bruttina veniva mandata via, c'era un tetto una bella piramide, dove noi non dovevamo travalicare i vari C2, C3, C4 eccetera, per cui ogni 20 giorni avevamo la pendenza sul capo che di poter esser licenziate senza motivo, ovviamente senza giusta causa, per non dire che se non gradivi le "avances" di qualcuno, te ne andavi o allargavi. Insomma, volevo dire che noi abbiamo partecipato come donne, mi dispiace che non siamo state invitate, perché, ragazzi, solo... maschietti. Scusatemi ma proprio mi stava sull'anima dire questo. Grazie.
[Liani]
Grazie!
Trascrizione (parte ⇒prima, ⇒seconda, ⇒terza) - Articolo ⇒principale
- Amministratore
- L'Assemblea
Trascrizione (parte ⇒prima, ⇒seconda, ⇒terza) - Articolo ⇒principale
[Liani 0:40:02]
Bene. Giuro che non l'ho fatto apposta, ma devo citare ancora lo Stellini, "La scuèle dai prèdis", come Liceo classico. Dallo Stellini alla fabbrica, da potenziale studente universitario a operaio reale, concreto, è il percorso compiuto da Roberto Muradore che ci spiega come il clima di quegli anni fu alla base di questa scelta.
Da studente a operaio, le ragioni di una scelta.
[Muradore 0:40:33]
Sì, allora qua passiamo dalla grande Storia alla piccola storia anche personale. Io sono dei tanti che non è stato un leader, ma uno dei tanti che ha fatto così, come poteva e voleva, il "suo", in quegli anni, soprattutto negli anni '70. Come '68 intendiamo un periodo lungo, chiaramente: non soltanto l'anno specifico.
1965, 4 dicembre, mia sorella, ginnasiale, Liceo classico, partecipa alla manifestazione per l'Università in Friuli a Udine, manifestazione che poi finì pure con le botte, da parte dei poliziotti. Ritornò a casa e mio padre gliene disse di tutti i colori. Due aspetti di quegli anni: autoritarismo e conflitto generazionale, terzo aspetto: c'è un '68 friulano ancora tutto da indagare. E' un segnale friulano, usando il termine "segnale".
Mi ricordo bene che io, ginnasiale, partecipavo, senza capirci molto, ai gruppi autogestiti, nel pomeriggio, dagli studenti più grandi perché 3 o 4 anni, tra un ginnasiale e uno faceva la seconda o terza Liceo, faceva la differenza.
A me piaceva l'idea che gli studenti si fossero presi la parola. Capivo poco ma ero contento di quel clima in cui la gente si autogestiva, senza bisogno di Professori, Presidi et simili: si erano presi la parola. Io non parlavo ma ascoltavo volentieri. Molta gente come me, in quegli anni, ha partecipato, ha condiviso: partecipava a molte riunioni, un po' di tutti i gruppi, partecipava, ovviamente, a tutte le manifestazioni; alcune le condivideva di più, altre di meno, ma era la gente comune come me, e come mia sorella, che ha dato, come dire, alimento, massa, corpo, il "corpaccione", appunto, del movimento non era affatto soltanto dai leader, era fatto da queste, da queste persone. Molta gente come me non era marxista, trotzkista, leninista... era semplicemente figlio di una cultura della ribellione, dell'incazzatura contro l'autoritarismo, dell'incazzatura contro l'”ipse dixit”, dell'incazzatura contro il dogmatismo. Era il contrario del dogma ideologico. Questo è il movimento: un magma, per cui nessuno, chiaramente, è riuscito, anche se un po' ci ha provato, a mettere il cappello su quegli anni e su quelle situazioni.
Era un sentimento ribelle, sostanzialmente anarchico, libertario, che poi si alimentava anche di altre culture, perché le buone letture sono servite, le buone letture che magari adesso ogni tanto mancano, perché c'è troppo fantasy e ci sono pochi libri, come dire, di contenuto. Episodi eroici, nessuno: le abbiamo sentite una volta perché abbiamo tolto la pedana sotto la cattedra, perché la pedana è il simbolo dell'autorità, per il fatto che uno non doveva stare più in alto, rispetto agli altri. Però questi erano gli anni, gli anni che davvero poi aiutavano a crescere in un certo modo.
D'estate, come tanti studenti, pochi nel Liceo classico, andavo a lavorare al mercato a scaricare le cassette. Finito il Liceo, in definitiva, a me, non a tutti, venne naturale scegliere il lavoro, scegliere la fabbrica: per ragioni personali, esistenziali. Non avrei mai sopportato, lo diceva prima Gino Dorigo, un futuro piccolo borghese, come si diceva allora, non avrei mai sopportato un futuro già segnato, da figlio di una famiglia piccolo borghese, e nel pensare a me stesso per sempre a fare una professione, un lavoro, mi pigliava la paranoia, per cui pensavo che la scelta operaia fosse una scelta provvisoria. Poi non è stato così. Una scelta dunque personale, innanzitutto: il rifiuto di un futuro che ritenevo, anche sbagliando, "banale", se avessi fatto altre cose. Questo si sposava poi però col fatto che indubitabilmente era la fabbrica, non altri luoghi, il luogo nel quale si esercitava l'autoritarismo, lo sfruttamento e la repressione, perché i diritti finivano, in fabbrica. Dorigo ha ragione: la fabbrica era un porto franco, diventavi veramente carne da macello, strumento di produzione, tanto per essere chiaro, per cui andare là mi sembrava giusto, perché là c'era un “di più” d'impegno da metterci, e c’erano cose e cose da fare.
Poi mi ero stufato: di discorsi di teoria mi ero... un termine, chiedo scusa alle signore, dei discorsi "segaioli" mi ero rotto le scatole, tanto per essere chiaro, come si diceva allora.
Ho incontrato la concretezza, in fabbrica, e ho capito che i lavoratori non erano "strumento" della lotta politica o sociale o rivoluzionaria, erano il “fine” dell'impegno, non lo strumento, non è banale dirlo: erano il fine, la loro condizione concreta di lavoro era la finalità, non [si doveva] usarli per altri motivi, perché le condizioni di lavoro non erano per nulla buone, erano condizioni davvero dure, per cui nella concretezza del lavoro sindacale quotidiano si tentava, a volte ci si è riusciti, di migliorare le condizioni concrete di lavoro.
E qua entra in ballo il Sindacato, Sindacato che per fortuna capì i fermenti sociali e il movimento di quegli anni, non tutto il sindacato, soprattutto i [sindacati] metalmeccanici che non a caso avevano tre segretari: Trentin, Carniti e Benvenuto - non è che non ho detto niente - che erano davvero la punta di diamante del Sindacato, in cui si sognava l'unità organica. Addirittura, la FIM era pronta sciogliersi, a uscire dalla Cisl per formare un unico sindacato, "unico", non "unitario"- poi non lo si fece, per tante ragioni, soprattutto per ragioni di scuderia dei partiti, forse è anche bene, perché le diversità sono ricchezza, per cui diventare un "unicum" a volte non va nemmeno bene - però quello era: l'unità era un valore assoluto e una spinta formidabile.
In più, bisogna dire, faccio un esempio concreto, in Safau, che non era una fabbrica rivoluzionaria, no Gino?, ogni sei mesi noi delegati andavamo a discutere in Direzione se l'inquadramento professionale di tutti i lavoratori era corretto rispetto alle mansioni che svolgevano; c'era un controllo del ciclo produttivo, che adesso non c'è più, per tante ragioni, per cui anche i lavoratori, in definitiva, si erano presi la parola, non soltanto gli studenti.
[Liani 0:48:15]
Grazie. Dorigo, è sempre stato così Muradore: per tre anni compagno di banco, dal '66 al '69, guardate come sono ridotto! Per molti il passaggio dal movimento studentesco alla militanza politica, quasi sempre in gruppi della sinistra - si diceva quella volta extraparlamentare - era un percorso quasi scontato. Elia Mioni: significava passare dal particolare al generale?
Dal movimento studentesco alla militanza politica: dal particolare al generale?
[Mioni 0:48:47]
Beh, inevitabilmente sì. Devo dire, rispetto alle cose che diceva prima Gino, sugli studenti e sugli studenti dello Stellini, che l'impatto con il '68, qui con il '69, vissuto anche, come raccontato, come vita personale è inevitabilmente un passaggio generazionale, di crescita. Io venivo da una famiglia popolare, sono finito nel Liceo classico della città e questo è stato credo il primo elemento di disagio e di adesione alla ribellione, nel senso che anche questi aspetti di vita personale sono parte integrante di quel periodo, proprio perché in quel periodo c'è la scolarizzazione di massa Quello che è capitato a me è di passare attraverso tutti gli elementi di riforma della Scuola: la fine dell'esame di terza media, la fine dell'esame di quinta ginnasio eccetera... Era una scelta politica dei governi di centrosinistra, quella di aprire la scuola alla massa dei cittadini. Se oggi pensiamo che ci sono ministri, del Governo appena scaduto, che ci hanno detto che "insomma, l'Università, per cortesia lasciatela anche perdere...", abbiamo un'idea, di che cosa voglia dire ripensare oggi al '68, con un occhio che sia sì personale, ma che sia anche attento a quello che sta accadendo. Sulle cose che ci hanno detto Muradore e Dorigo sulla vita di fabbrica, credo [si possa dire] che oggi siamo vicini a quello che era il '67, in sostanza, non il '69, [Applausi] e che quindi ripensare al '68 oggi non può che partire da una frase, che è cioè "la storia la raccontano quelli che vincono". Noi in qualche maniera non siamo di quelli che hanno vinto, però ripensare a quella storia ancora qualche aiuto ce lo può dare. Quindi, il primo è questo discorso della grande entrata di migliaia e migliaia di giovani nella Scuola, il fatto di formarsi, di trovare spesso - a me per esempio è capitato - anche dei professionisti, dei professori che sono stati in grado di farti imparare un metodo critico nell'apprendimento delle materie classiche, anche nelle scuole non classiche, e che quindi ti hanno costruito una "forma mentis" che ti spingeva a cercare di ragionare, di essere critico e via dicendo. Io credo che questo alla fine ci abbia aiutato all'epoca, passando anche attraverso episodi personali. Uno degli elementi di rottura è stato quello di crescere politicamente: passare dal movimento a una forma politica, per quanto i gruppi non fossero il grande Partito Comunista, ha segnato la vita delle persone. Io per esempio della Primavera di Praga ho un ricordo personale, ero da parenti miei in Istria, in agosto, seppi la notizia alla radio la sera: sei in una famiglia della Jugoslavia che aveva lo stesso timore che avevi tu, dell'entrata dei carri armati russi e della fine della Primavera di Praga. Probabilmente anche questo è stato uno degli elementi di impatto con un comunismo autoritario, è stato uno degli elementi per cui hai cercato un altro punto di riferimento, come la rottura Russia - Cina, sicuramente sbagliando tragicamente, ma facendo lo stesso errore che la generazione precedente fece con la Russia, nel senso che pensavi che quello era il Socialismo e confondevi le prospettive. Uno degli elementi che ha segnato, credo, l'esperienza dei gruppi extraparlamentari, della sinistra rivoluzionaria, è il tentativo di pensare a un socialismo che avesse caratteristiche di partecipazione non autoritaria, di autogestione e che fosse comunque qualche cosa di diverso.
Quello che è accaduto dopo è stato un tentativo di proseguire, su queste strade attraverso una leva “generazionale” che non si è mai ripetuta, dopo. Quello che è accaduto nel '68, nel '69 e negli anni successivi è stato un portato che, fino alle ultime elezioni di qualche settimana fa, ha spinto in avanti una prospettiva in questo Paese, perché quelle persone ci sonoancora. Io credo che il '68 alla lunga sia stato proprio l'applicazione di quel concetto gramsciano della conquista delle casematte della borghesia, perché, alla fine, se pensiamo a cose come psichiatria democratica, medicina democratica, i poliziotti democratici, abbiamo proprio un'esperienza di questo tipo, cioè quei giovani non sono stati solo i gruppi della sinistra estremista, extraparlamentare o quello che è: c'è sempre stata una relazione e una critica fra le due sinistre, ma c'è stata soprattutto questa capacità di permeare la Società, di costruire punti di vista diversi, anche professionali, che sono continuati anche oltre quegli anni.
Mi viene in mente, l'esperienza di alcuni fisici, penso a Mattioli e Scalìa, per chi li conosce, che passano attraverso i gruppi della sinistra extraparlamentare: la conoscenza scientifica acquisita viene messa a disposizione poi di quel movimento antinucleare che si misurerà nel '74 con il referendum "di Černobyl'", dando una possibile alternativa tecnologica tecnica e scientifica a quella che sembrava l'unica forma di energia che consentiva un futuro di progresso al Paese.
Ecco io credo che il '68 sia anche questo, la possibilità di sedimentare in esperienze politiche nuove, rispetto al passato. Devo dire francamente che per certi versi ho apprezzato la ricostruzione del Professor Borghello, ma se devo rileggerla alla luce degli occhi di quella volta, è stata anche un'esperienza che - pur provenendo io da una famiglia socialista e comunista nel corso del novecento - mi passava “attraverso”: non riuscivo a considerarla come vitale, in quel momento, e mi ha spinto a fare altre esperienze, che poi hanno lasciato un'eredità nel tempo, eredità che ha continuato ad operare ad essere viva.
[Liani 0:56:43]
Grazie a Elia Mioni, mi permetto solo di fare di fare un’osservazione, a quei ministri e in particolare a quella ministra che suggerisce di evitare le università agli studenti, mi chiedo perché abbia mentito scrivendo sul foglio matricolare di essere laureata - e laureata non è - se non di “scienze occulte e pirotecnica” probabilmente.
“La lotta è armata: sinistra rivoluzionaria e violenza politica tra il '69 e il '72”, autore è Gabriele Donato qui alla mia destra [⇒ Presentazione del libro]. Secondo Lei la violenza politica è un prodotto inevitabile o un corpo estraneo al 68?
La violenza politica è un prodotto inevitabile o un corpo estraneo al 68?
[Donato 0:57:29]
Beh, la domanda pone immediatamente i termini di un dibattito è che andato avanti per molti anni e dal quale, dal mio punto di vista, noi dovremmo provare a uscire, perché quelle due letture che sono state proposte, con insistenza, sono entrambe, dal mio punto di vista, inadeguate.
Non è affatto vero che la violenza politica abbia rappresentato una conseguenza inevitabile di quel ciclo di contestazioni, non è affatto vero che la violenza politica non c'entrasse alcunché con quel ciclo di contestazioni.
Può essere più complicato ragionare in questi termini e più semplice ragionare in termini dicotomici, però vale la pena provare a farlo, tanto più in una sede come questa, in cui c'è la possibilità di riflettere serenamente, forti di una distanza rispetto a quegli avvenimenti che ci dovrebbe aiutare ad essere cauti nelle nostre valutazioni e nelle nostre riflessioni.
Il tema della violenza rimbalzò nei dibattiti di quegli anni, il mito della “violenza proletaria” circolava nei dibattiti universitari, nelle sedi politiche, arrivava un po' dovunque, ma era appunto un "mito", come tale forte di una capacità evocativa indiscutibile, ma generico, difficilmente identificabile, tant'è che oggi se ci ponessimo il problema di capire effettivamente che cosa identificava quell'etichetta, faremo fatica a trovare delle risposte condivise. Si trattava per l'appunto di un'etichetta evocativa dietro la quale ciascuno collocava quel che riteneva essere coerente con il suo modo di intendere la politica, ma fu un pezzo di quei discorsi che in alcuni casi si tradusse in azione vera e propria, in tanti altri casi si perse. Dobbiamo esserne consapevoli, perché non tutto ciò che viene detto si tramuta in azione, ma è altrettanto vero che le azioni hanno a che fare con le parole evocative che vengono utilizzate.
Anche qua dobbiamo provare ad evitare di farci incastrare da una logica dicotomica e stare in mezzo a questo ragionamento, vedere le ambiguità di quella suggestione, i pericoli che si portò dietro, quella suggestione, senza avere fretta: senza avere fretta, per esempio, di risolvere i termini di questa discussione dicendo che il '68 è stato buono e gli anni '70 sono stati cattivi. Alcuni lo fanno, lo hanno fatto anche recentemente: l'ho letto, questo tipo di ragionamento, in un'intervista recente su un quotidiano locale, sul principale quotidiano locale. C'è stata questa abitudine: ricordo di aver letto un sacco di libri fra l''88 e il '98, pubblicati in quei due anniversari, e questo era un po’ il "leitmotiv" prevalente “Certo il '68 è stata una stagione creativa, esuberante, eccezionalmente anti-autoritaria, poi gli anni '70, gli anni di piombo”, per l'appunto, e già questa etichetta andrebbe messa radicalmente in discussione: sono stati anni veramente che ricordiamo esclusivamente per le pallottole che volavano per aria?
Io non ho aneddoti da raccontare, non ho le carte in regola, evidentemente posso però provare a riferire alcune cifre. Alcuni hanno fatto il conto delle azioni violente nel corso di quegli anni: i tre quarti delle azioni violente di quel lungo decennio sono state messe in pratica in quattro grandi città del Paese, e già questo circoscrive l'impatto che la violenza ebbe nelle vicende degli anni '70. In quattro grandi città: Milano, Torino, Roma e Genova; i tre quarti delle azioni violente. Se poi continuiamo a fare questo conteggio, che ad alcuni potrebbe sembrare un po' macabro, ma che ci aiuta a capire alcune cose, ci rendiamo conto che nell'Europa dell'epoca, il nostro non era affatto il Paese più violento: le vittime della violenza politica che ci sono state in tutti quegli anni nel nostro Paese, nella Gran Bretagna, insanguinata dai conflitti scatenati attorno alla vicenda Nord Irlandese, si sono avuti nel giro di pochi mesi, mesi del 1972, centinaia di vittime solo in quell'anno. E' necessario di conseguenza circoscrivere quel che è stata la violenza politica nel corso di quel decennio, per evitare che tutto quel decennio si trasformi esclusivamente in un palcoscenico per gli attori violenti, che ci sono stati, hanno avuto un'influenza significativa, ma mai maggioritaria, e che non possono continuare ad essere protagonisti di dibattiti su quell'epoca, quasi fossero stati gli unici attori, di quell'epoca.
Facciamo ancora qualche conto: furono milioni coloro che si mobilitarono nel corso di quegli anni, furono centinaia di migliaia coloro che presero parte attiva alle iniziative di protesta, non da semplici simpatizzanti, ma da aderenti a qualche gruppo, a qualche associazione, a qualche organizzazione; furono decine di migliaia i militanti che dedicarono anni interi della propria vita all'impegno, alla contestazione, alla rivolta. I condannati per aver appartenuto a gruppi armati nel corso di quegli anni furono 3000: certo, un numero significativo, ma se rapportato ai numeri che vi ho citato qualche secondo fa, appare nel suo impatto reale, significativo ma minoritario. Quindi pensare di ragionare sul '68 e sugli anni successivi esclusivamente in termini di incubazione di violenza politica è assolutamente irragionevole. Grazie
[Liani 1:04:03]
Ritorniamo dopo questa panoramica a livello internazionale, ritorniamo nella nostra area, nella nostra regione, per analizzare un aspetto particolare: quello dei P.I.D. se vi ricordate i "Proletari in divisa" che a Udine... (prego... [Cavallo] I PID erano di Lotta Continua, poi.. [Liani] sì, sì sì, sì, ognuno aveva il suo...). Nella nostra regione c'erano 100 mila militari tra leva e di carriera e quindi il movimento si trovò a fare i conti anche con questa presenza. Prego, Ceschia.
L'esercito in Friuli e il movimento del '68 tra i soldati
[Ceschia 1:04:35]
Lotta Continua e stata la prima formazione nella quale ho militato fin dall’origine, nel '69, fino a parte del '71. Credo che sia utile ricordare che a Lotta Continua, in modo particolare, va riconosciuto l'onore di avere aperto un intervento in un settore nevralgico, nel quale la presenza dei giovani, degli studenti e degli operai si misurava, che è quello proprio dell'intervento militari. In una regione come la nostra, in particolare nel Friuli, chi lo ricorda, statisticamente avevamo il 50% di tutte le armi a disposizione dell'Esercito Italiano, concentrate qui, e un terzo numerico di tutti i rappresentanti dell'esercito. Qui venivano, dalle località citate sulla crescita del movimento studentesco, decine di migliaia di ragazzi da tutta Italia: venivano dai licei occupati, dalle università, dalle esperienze del movimento e venivano catapultati in una realtà alienata.
Chi lo ricorda sa che in quegli anni lì la nostra regione era disseminata di piccole caserme sperdute - mi ricordo Ipplis, mi ricordo Attimis... - situazioni nelle quali lo scontro era immediato fra il sogno di cambiamento, la voglia di impegnarsi è una situazione di costrizione che rubava un anno della propria vita in una situazione del genere.
Se non ricordo male fu del '70 la prima sigla "Proletari in divisa". E' vero, come diceva Giorgio, poi ci sono nomi a seconda della storia delle organizzazioni della nuova sinistra: si chiamavano CPA, nel caso del rapporto con Avanguardia Operaia, CMCM nel caso del rapporto con il Manifesto e il PDUP. Qual era l'importanza formidabile di questo argomento?
Tenete conto che io dal '72 al '74 mi ero occupato dell'attività del Circolo "La Comune" e facevo cose che mi divertivano parecchio - avere portato qui Frank Zappa o i "Napoli centrale" era decisamente più divertente - quando, per una serie di circostanze fortuite, poi dimostratesi infondate, mi viene detto "guarda che il compagno che segue l'attività militare è gravemente ammalato, bisogna che qualcuno segua questa attività". Pensai che fosse il caso di accettare questo tipo di incarico e non sapevo che avrei passato i quattro anni successivi in una situazione decisamente imbarazzante, che mi aveva tagliato fuori dalla vita sociale, e in qualche modo mi obbligava a frequentare, come dire, il neo costituendo Sindacato di Polizia laddove esisteva, e le riunioni con i compagni militari. La qualità delle problematiche che i militari sollevavano era estremamente complessa ed era legata alle condizioni di vita nelle caserme. Tenete conto che, come dire, spesso il lavoro di controinformazione che fu fatto dalle forze della Nuova Sinistra denunciava dei fatti terribili che avvenivano dentro le caserme o durante le esercitazioni. Ricordo i sette morti alpini in Val Venosta, ricordo nella zona nostra durante un'esercitazione con le forze NATO tre ragazzi morirono annegati su un canotto, perché obbligati ad attraversare il fiume in piena, durante un'esercitazione che simulava le condizioni di guerra. C'erano le ruberie, gli avvelenamenti, le situazioni precarie dal punto di vista dell'igiene, che erano legate al modo in cui le tangenti venivano “strappate” alle commesse militari. Ma c'erano altri argomenti molto più delicati in realtà.
La presenza di un terzo dell'esercito significava la presenza di un terzo, in termini di concentrazione, di quella che era la frazione golpista del nostro esercito. Il sottoscritto fu portato in caserma dai carabinieri - se qualcuno ricorda c'era la Legge Reale che consentiva [u fermo di] tre giorni, senza dover dare spiegazioni - perché avevamo distribuito un volantino che accusava Amos Spiazzi di essere uno delle intelligenze più raffinate nell'elaborazione della strategia della tensione.
C'era questo tipo di aspetto e ce n'era un altro che era legato al fatto che la presenza dell'esercito in Friuli Venezia Giulia comportava un problema di "servitù militari" pesantissime che avevano non solamente mortificato l'economia delle nostre realtà ma che, nascondevano una serie di realtà decisamente scomode. Voglio ricordare che ad esempio fu in maniera quasi nascosta che la Base americana di Aviano cominciò ad essere costruita nel '51, nessuno sapeva che razza di lavori facessero; spianavano, e tutti a domandarsi “che razza di problemi...”: solo sei anni dopo nel '57 fu reso ufficiale che era una base americana in territorio italiano. Quando, qualcuno di voi ricorderà, ci fu l'abbattimento dell'U2, il pilota americano che fu abbattuto, come dissero i tracciati, era partito da Aviano e la CIA su Aviano aveva, attribuito un ruolo strategico importante. Aviano fu al centro dell'attenzione, per qualche settimana si parlò di Aviano, nessuno sapeva dove fosse, l'allora Presidente della Repubblica Antonio Segni fece finta di non sapere che nel territorio del Friuli ci fosse una base americana e chiese spiegazioni di fronte a una denuncia presentata dal gruppo parlamentare del PCI, dicendo "devo informarmi perché non mi pare che ci sia", una cosa...
Bene, a questo tipo di impegno a difesa delle condizioni dei nostri ragazzi, dei nostri compagni che venivano in Friuli a passare quell’anno da militare, si abbinò, in maniera robusta, un elemento di critica antimilitarista nei confronti dell'uso che veniva fatto del territorio friulano. E' un problema che è rimasto: noi, la base di Aviano, ce l'abbiamo ancora, non sono molto lontani i tempi nei quali per mesi furono piantate le tende per denunciare, questo tipo di aspetto per rivendicare una vocazione pacifista del nostro Paese, che derivava da un principio fondamentale della Costituzione. Chiudo per ricordare che questa presenza “imbarazzante” - un territorio americano in un territorio che americano non è - avrà delle conseguenze successive: non parlo solamente dell'unabomber e delle voci che attribuiscono la nascita di questo fenomeno alla base americana di Aviano, parlo dell'uso che potrebbe essere fatto di quella base in presenza del conflitto che ci sta coinvolgendo a livello internazionale, una sorta di ripristino abbastanza pericoloso di quello che era la guerra fredda e la "Cortina di ferro".
[Liani 1:12:11]
Grazie.
Al professore, al professor Borghello una domanda facile facile: quale furono i rapporti tra Movimento studentesco e Partito Comunista.
Rapporti tra Movimento studentesco e Partito Comunista.
[Borghello]
Diciamo che comunemente si legge nei libri, giustamente, che l'atteggiamento del Partito Comunista all'inizio è un po’ di sorpresa: è il primo movimento che in qualche modo esce fuori dall'orbita del partito, fuori, diciamo, dal "controllo". E' un movimento inedito e qui bisogna distinguere anche tra Partito Comunista e Federazione Giovanile, FGCI, diciamo che la FGCI sostanzialmente, con qualche eccezione, colse subito la valenza di questo movimento, e, in qualche modo, seguì questa linea.
Nel PCI c'erano più anime, come vedremo. E' significativo un episodio: Luigi Longo, che era succeduto a Togliatti nel '64 come segretario del Partito Comunista, appena il movimento si mosse chiamò a discutere con lui, alla pari, i dirigenti del Movimento studentesco di Roma, per sentire le loro ragioni, come vedevano le cose, capire cosa si poteva fare; noi abbiamo anche una cronaca molto divertita di Oreste Scalzone che racconta la storia della parte di questi giovani. Dopodiché Longo scrisse il 3 maggio '68 un famoso articolo su Rinascita "Il movimento studentesco nella lotta anticapitalistica": era un punto fermo, cioè significava aver colto che il Movimento studentesco, al di là di qualche dissenso, sfrangiamento, eccetera, però era un punto di riferimento a sinistra per la lotta anticapitalistica, e in questo articolo che è sempre interessante rileggere, facevano autocritica, seria, su come il PCI aveva reagito a questa situazione, i ritardi, le incomprensioni. Diciamo che, per fare un esempio molto concreto, io ricordo benissimo che a Pisa Fabio Mussi e Massimo D'Alema, che erano iscritti al partito e non alla FGCI, svolgevano in modo intelligente e lucido la funzione di "trait d'union" tra il Movimento studentesco, la Federazione e il Partito, cioè era questa, come dire, la linea dominante.
Cito Rinascita che, dobbiamo tenere presente, è veramente un termometro sensibilissimo. Io mi sono letto varie annate della rivista e devo dire che c’era - non solo delle cose che mi interessavano - un approfondimento settimanale che adesso ci scordiamo.
Giorgio Amendola: altra anima. Allora, Giorgio Amendola, già in partenza, nell'ottica del Momento studentesco, era considerato un esponente granitico di quella che si definiva in modo un po' semplificatoriamente la “destra comunista”: tutti si ricordavano nel '66 la famosa contrapposizione al congresso del PCI con Ingrao, due linee completamente diverse. Sempre su Rinascita Amendola fa un articolo diventato famoso o famigerato: "Necessità della lotta sui due fronti" i due fronti erano da una parte il riformismo socialdemocratico, dall'altra le tendenze, diciamo così, anarchicheggianti, dove colpisce anche il titolo "necessità della lotta" cioè come dire non si discute, qua si deve fare la lotta su due fronti, punto e basta, non è che dice "ci poniamo il problema che...". L'articolo esce un mese dopo quello di Longo, e devo dire che, riletto ancora oggi, veramente fa un po' cadere le braccia perché piglia in giro Marcuse, elogia il Partito Comunista Francese, che proprio non era un modello di "sensibilità politica", addirittura arriva a dire che forse è la CIA che tesse i fili dei movimenti extraparlamentari e, per fortuna, a parte, come dire, le polemiche immediate, poi su Rinascita sempre intervennero altri come Achille Occhetto, Lucio Lombardo Radice, Luciana Castellina, Davide Lajolo, Ottavio Cecchi: questo dimostra anche la vera apertura di Rinascita rispetto a un dibattito pluralista.
Ecco, di tutti questi interventi parlo solo brevemente di quello di Lucio Lombardo Radice, un grande matematico, dirigente politico molto sensibile, uomo di apertura al dialogo con i cristiani, un personaggio veramente autorevole interessato a quello che succedeva nei Paesi dell'Est (ha scritto un libro sulla Primavera di Praga): titolo anche qui eloquente "Se lasciamo spazi vuoti..." puntini puntini. In forma molto garbata di lettera ad Amendola, "se lasciamo spazi vuoti...", dice che se noi lasciamo spazi vuoti, questi vengono malamente riempiti. I problemi sono reali, dice Lombardo Radice, sono il rapporto che deve esistere tra la democrazia partecipativa e la democrazia diretta, sono il rapporto – su questo quella volta si discuteva sempre - fra democrazia e socialismo, e ribadisce l'originalità della via italiana al Socialismo, in polemica molto garbata con Amendola, ma nelle argomentazioni molto robuste.
Questo rapporto, diciamo così, poi, per fortuna, sulla linea di Longo in qualche modo andò avanti, prova ne sia che nel famoso anno 1968, tra parentesi il primo anno in cui ho votato, la parola d'ordine del movimento studentesco era "si vota scheda rossa" ed era chiara l'indicazione del PCI o PSIUP: si vota scheda rossa, beh io ho votato scheda rossa. Grazie
Trascrizione (parte ⇒prima, ⇒seconda, ⇒terza) - Articolo ⇒principale
- Amministratore
- L'Assemblea
Trascrizione (parte ⇒prima, ⇒seconda, ⇒terza) - Articolo ⇒principale
Venne Maggio, Udine 17 aprile 2018
Evento creato da Ferdinando Ceschia per i 50 anni del '68, col il patrocinio di CGIL, CISL e UIL.
Partecipano Ferdinando Ceschia, Roberto Muradore, Giorgio Cavallo, Giampaolo Borghello, Elia Mioni, Donato Gabriele e Gino Dorigo. Coordina Giuseppe Liani.
TRASCRIZIONE DELLA TAVOLA ROTONDA*
*La trascrizione è stata effettuata dalla registrazione degli interventi, senza una revisione da parte degli oratori. Ci scusiamo per una inevitabile approssimazione o fraintendimento.
[Giacomini]
Il mio compito si limita a dare il benvenuto a tutti e a tutte voi a nome di Cgil Cisl e Uil, mi permetto solo di sottolineare il fatto che Cgil Cisl e Uil di Udine hanno messo importanti energie per realizzare questo pomeriggio, la tavola rotonda, e successivamente alle 20:30 lo spettacolo che si realizzerà al Palamostre, per rivivere appunto quel - lo abbiamo definito così - "Venne maggio", quella fase che nel mondo del lavoro, nelle fabbriche, per quanto ci riguarda nelle esperienze che tenteremo di raccontarvi negli uffici fu vissuto con intensità anche qui da noi in provincia e in regione; ma il mio compito è anche quello di ringraziare per la riuscita di questa iniziativa cui diamo via adesso, ringraziare i protagonisti della tavola rotonda quindi Roberto Muradore, Nando Ceschia, Cavallo, il professor Borghello, Elia Mioni, Donato Gabriele e Gino Dorigo. Coordinerà e ringrazio, un particolare ringraziamento a Liani.
Il '68 è stato probabilmente molte cose; parecchie parole sono state usate per descriverne la portata; è stato un movimento internazionale, internazionalista, poli-culturale, interclassista e molto altro ancora suppongo, ma, per il mondo del lavoro rappresentato - così lo vorremmo illustrare - il contributo importantissimo per le battaglie di obiettivi acquisiti negli anni settanta, a partire appunto dal '68.
Nella descrizione, nella realizzazione alla tavola rotonda, non vi illustreremo "il" '68 ma le diverse sfaccettature - raccontate appunto dai protagonisti, quelli che l'hanno vissuto - diverse dalle diverse provenienze: dal luogo di lavoro ma non solo, quindi con il loro portato con l'esperienza col fatto di essersi, assieme ad altri ovviamente, molti altri, messi in gioco per dare vita a che cosa: a quel grande movimento che il '68 è stato. Per me ha rappresentato un modo di stare nella Società, un modo di interpretare i problemi dei lavoratori, io che sono della generazione successiva, non l'ho vissuto, il '68, ma senza quello molto probabilmente molte scelte, il modo di il modo di essere e di interpretare i problemi della Società del Mondo del Lavoro io non li avrei intrapresi.
Grazie di nuovo e buon ascolto, con l'auspicio che nulla può essere ripetuto: non si può sperare nella ripetizione, però la speranza è l'ultima a morire visto che lo scenario che abbiamo davanti lo richiederebbe. Grazie, scusate: adesso la parola a Beppe Liani.
[Liani 0:03:28]
Dopo i saluti del padrone di casa, molto modestamente, i miei saluti. Grazie per essere qui e per aver deciso di trascorrere due ore per ricordare quello che ‘68 è stato o non è stato: dipende dalle esperienze di ognuno di noi.
Nel preparare questo incontro ho rivisto alcuni testi e alcune fotografie, su internet e mi ha colpito una frase che caratterizzava l'ironia e la autoironia di quelli che avevo in uno chiamati "sessantottini" per cui consentitemi una battuta, carissimi amici e amiche, "Dichiaro aperta l'assemblea dell'Associazione Combattenti e Reduci di Udine", [Risate], per cominciare con una risata che non vuole essere amara, ma solo un ricordo dell'aspetto, tra gli aspetti più intelligenti del '68, cioè l'ironia e soprattutto all'autoironia.
Non vuole essere quella di oggi né una celebrazione né un "amarcord", questo almeno nelle intenzioni degli organizzatori e dei relatori, vuole essere il confronto odierno sul '68, un'esperienza che ha segnato, in certi casi cambiato - lo ha ricordato adesso Giacomini - la vita di molti, convinti che il mutamento fosse dietro l'angolo. Le loro riflessioni ci aiuteranno a meglio comprendere cosa fu il '68 anche in quest'area del Paese e proprio partendo da questo aspetto, Ferdinando Ceschia ci spiegherà le ragioni che hanno spinto Cgil, Cisl e Uil di Udine ad organizzare questo incontro.
In sintesi: quali sono le questioni sollevate dal '68 ancora attuali?
Quali sono le questioni sollevate dal '68 ancora attuali?
[Ceschia 0:05:22]
Qualcuno di voi ricorderà che nel 2014 Cgil, Cisl e Uil di Udine fecero un'iniziativa che apriva una riflessione sugli anni del movimento, la chiamammo "Movimento 70".
Credo che questa iniziativa promossa da Cgil, Cisl e Uil sia, a quanto ci risulta, una delle pochissime se non l'unica promossa dal Sindacato su un periodo delicato e denso di significati come quello che cercheremo di affrontare. Non è stato facile: l'abbiamo potuto fare qui a Udine perché c'è una lunghissima tradizione decennale e ultradecennale di confronto unitario fra le nostre tre sigle, un rapporto che è fatto di lealtà, soprattutto, e di capacità di spingere gli elementi critici senza avere paura di arrivare a delle conclusioni scomode.
Parlare del '68 significa, per quanto riguarda il Sindacato, toccare un argomento nel quale il Sindacato non era solamente artefice, era bersaglio della critica. Il movimento giovanile e studentesco accusava, in quegli anni, le modalità di organizzazione del Movimento Operaio, nella fattispecie quelle del Sindacato, di essere un elemento che non comprendeva le ragioni del cambiamento, che non capiva come fosse assolutamente necessario modificare le forme stesse di organizzazione dei lavoratori.
Si parla molto spesso del sessantotto come un elemento che riguarda gli studenti, i giovani: noi abbiamo voluto invece fare questa iniziativa per ricordare, banalmente, che i lavoratori e il sindacato nel '68 c'erano in pieno, e che in quegli anni li c'era qualcosa di cui ci siamo dimenticati e che passava sotto il nome di “lotta di classe”, di cui non si parla oggi perché sembra che la nostra Società non sia più stratificata, per classi e per fabbisogni, e quindi si parla di necessità in termini astratti.
Volevamo sottolineare questo tipo di aspetto, che per noi è importante, perché in quegli anni lì non si parla solamente dell'autunno '69, che fu, come dire, per il numero di ore di sciopero e per le azioni di lotta intraprese, la “punta di diamante” dell'intero periodo e fu un elemento che aprì al cambiamento del Sindacato.
Il mio è semplicemente un preambolo di avvio, partiamo da un concetto di una deformazione che la letteratura, il giornalismo italiano ha fatto del termine "Anni di piombo": no, gli "Anni di piombo" non erano gli anni della P38, gli anni del "delirio": erano una cappa di piombo, eravamo nel pieno della "Guerra fredda", della "Cortina di ferro", il mondo intero era diviso per sfere di influenza e il terrore del conflitto atomico era un elemento che pesava nelle sorti e negli orientamenti della gente. Il moto del '68 fu un elemento che, sia da occidente che da oriente, rimise in discussione questa cappa di piombo. Lo fece in mille maniere, l'elemento al quale noi teniamo è, come detto nei preamboli, che non esiste una verità spalmata sul pane, non esiste un solo '68, non esiste una versione ideologica o politica unitaria di questo problema: il '68 sono stati “tanti '68”, hanno riguardato molti elementi di cultura politica, hanno concorso a una sorta di “pandemia” che ha cambiato le sorti.
Basterebbe confrontare quello che c’era prima e quello che c’era dopo il '68, per capire che importanza noi ancora attribuiamo a quel movimento, per le cose che è riuscito a cambiare, per il modo che ha utilizzato per riuscire a cambiarle, e, lo si diceva in termini di augurio, basterebbe solamente che ritornassero due elementi di quegli anni che hanno caratterizzato la gioventù di molti di noi. Uno era la speranza e l'entusiasmo di immaginare che il mondo potesse essere cambiato, e quindi di non arrendersi mai alle concezioni date come insormontabili, e l'altro è un problema di dimensione: la dimensione del "collettivo". Quegli anni furono grandi piccoli "collettivi", ma furono un agire insieme nel fare le cose, che è un termine che in qualche modo si è perso, nel tempo: tendiamo ad affrontare le questioni in termini individuali, non collettivi.
Ecco, l'augurio che io mi faccio, che questi due elementi, il coraggio, l'entusiasmo, in qualche modo anche la sfrontatezza nell'affrontare i problemi, senza pensare che i limiti che qualcun altro ci ha posto siano insormontabili, e – altro elemento - recuperare al nostro interno la dimensione collettiva come un elemento che fece respirare il movimento in quegli anni e di cui questo Paese avrebbe estremamente bisogno. Grazie.
[Liani 0:10:39]
Per meglio inquadrare il '68, è necessario analizzare alcuni elementi che hanno caratterizzato nel nostro Paese il dibattito politico e culturale a cominciare dai primissimi anni sessanta.
A Giampaolo Borghello il compito di ricordarci i segnali - ci tiene tanto a questo termine - i segnali che annunciavano una stagione che sarebbe stata diversa dalle altre.
I segnali che annunciavano una stagione che sarebbe stata diversa dalle altre.
[Borghello 0:10:58]
Io ho sempre questo chiodo, un po', della parola “segnali”, quindi mi riferisco a eventi, personaggi, situazioni che vengono prima del '68 e sono come lampi. Dopo un lampo può esserci una tempesta enorme, come può essere un falso allarme, e difatti tante volte mi chiedono "Ma questi segnali sono stati colti o no?" e io rispondo "un po' sì e un po' no".
Certamente, passando i decenni, i segnali sono apparsi sempre più chiari, più nitidi, più concreti e, si potrebbe dire, "segni dei tempi" in senso biblico o, come ha intitolato alcuni anni fa un libro, "[1966] Giovani prima della rivolta", perché questo è un bel modo di avvicinarsi ai segnali. Ho pensato di fare un elenco notevolissimo di questi segnali e dopo, per ragioni di tempo, mi soffermerò solo su due di essi.
Quali sono i segnali? Sono naturalmente elementi molto diversi tra di loro: gli incidenti di Piazza Statuto del 1962 a Torino, la contestazione del marzo '64 a Togliatti a Pisa, la presenza di un movimento culturale che partiva dall' estero, ma che ha avuto un'influenza italiana, dei "Situazionisti", un caso che molti di voi ricorderanno è il caso della "Zanzara" - di questo giornalino studentesco del Liceo Parini che ebbe l'"ardire" di fare un questionario sui giovani e il sesso: una cosa che oggi non farebbe voltare indietro nessuno, ma quella volta lì finì in tribunale - e poi: don Milani. Teniamo presente che la "Lettera a una professoressa", che per tantissime persone è stata una lettura folgorante, che ha plasmato generazioni, è del '67. Quando poi don Milani muore, altri elementi di questi segnali famosi sono: a Roma, alla "Sapienza", nel '66 la morte di Paolo Rossi, uno studente socialista che fu malmenato dai fascisti durante le elezioni universitarie, che poi si appoggiò a un muretto e cadde, ovviamente c'era un nesso tra il pestaggio e la caduta: fu molto importante perché ci fu una sollevazione antifascista molto forte all'Università di Roma che coinvolse anche Rettore, e tutta una classe docente capì che quello era veramente un segnale. E poi, dopo, nel '66,, l'alluvione di Firenze, i "capelloni" guardati con grande sospetto e ostilità diventano "angeli del fango"; improvvisamente, ecco, allora, questi sono tutti segnali.
Io parlerò solo di due segnali e comincerò il tema sindacale con i famosi "Fatti di Piazza Statuto" a Torino. Dico subito che ancora oggi non c'è una interpretazione unanime, ancora oggi si discute, si litiga su cosa sia successo e chi c'era dietro, chi c'era davanti. Per farla breve era in atto una forte vertenza contro la Fiat e i Sindacati unitariamente proclamarono tre giorni di sciopero, 72 ore, il 7, il 9 e il 10 luglio 1962: quindi siamo proprio nei termini dei segnali, e cosa successe? Mi dispiace qui, l'amico Ceschia sa meglio di me: due sindacati ruppero il fronte e firmarono l'accordo con la Fiat, uno era la Uil - è per quello che ho chiesto scusa prima - e uno era il Sida. Cos'era il Sida? Era quello che si definisce tecnicamente un "sindacato giallo", cioè di quei sindacati di comodo: il Sida è di fatto un sindacato potente, ci sono libri interi sul Sida, che era stato messo in moto dalla Fiat. Questi due sindacati firmarono in anticipo, quindi si tolsero dallo sciopero. Così successe spontaneamente, poi vedremo in termini esatti, che moltissimi giovani si recarono in Piazza Statuto a Torino per manifestare l'ostilità, diciamo pure l'odio, verso questo atto di rottura dell'unità, cercarono di dare l'assalto alla sede della Uil e lì ci fu uno scontro. All'inizio di questi scontri, diciamo per capirci mille dimostranti e 500 poliziotti, si fini a cariche, ci furono un sacco di fermi e di arresti e questi scontri si intensificarono poi nella sera del sabato, tacquero la domenica e ripresero lunedì. La discussione, come dire, che ancora oggi si fa: erano giovani che spontaneamente volevano contestare questa rottura sindacale o erano anche provocatori, e lì c'è tutta una disputa che ancora oggi ripete e divide, nel senso che ci sono anche dei racconti di Garavini, che si sentì inseguito, che era segretario Fiom, con minacce e via dicendo. Una cosa molto saggia disse nove anni dopo Giorgio Benvenuto: questi fatti, al di là delle interpretazioni, sono molto importanti perché segnano la fine degli accordi separati. Pensate! - l'esponente della Uil - la fine degli accordi separati, io ricordo Umberto Segre, che osservò che nel processo i due terzi degli imputati erano provenienti dal Sud, qualcuno aveva in tasca la tessera dalla Uil, per dare un'idea dei temi tutto questo poneva dei problemi riguardavano ovviamente le migrazioni, le grandi migrazioni dal Meridione, il cambio della faccia di Torino e la presenza di una classe operaia giovane e che in qualche modo prelude al cosiddetto "operaio massa". Poi dopo ci sono varie questioni riguardanti i Quaderni Rossi ma passò al secondo episodio.
Il secondo episodio è la famosa contestazione a Togliatti nel marzo del '64. Praticamente a Pisa la Scuola Normale e la direzione, di intesa con gli studenti, aveva invitato grandi esponenti dei partiti politici italiani a parlare della politica italiana durante la resistenza e poi dopo nell'immediato dopoguerra. Per il Partito Comunista ci fu Togliatti, in una serata memorabile serata a Pisa nel '65 (un episodio che, come dico io, “si era attaccato sui muri”: un pieno enorme di gente, c'era anche qui la base pisana). Il discorso che fece Togliatti è un discorso molto prudente che collegava la storia del PCI alla storia d'Italia. Diciamo, per capirci, che Togliatti si aspettava obiezioni da destra, e anche alcuni miei amici diciamo "conservatori" hanno detto è stato molto abile e prudente; invece gli attacchi arrivarono a sorpresa da sinistra: per i tempi non dico fosse oltraggioso, ma certamente fuori dalle righe, osare mettere in discussione la figura di Togliatti. Adriano Sofri chiese in maniera molto brusca "perché non avete fatto la rivoluzione del '44?" e Togliatti disse "Beh, in fondo c'è stata a Jalta di mezzo". Per cercare di capire la politica del PCI in quegli anni, il mio carissimo amico Cazzaniga fece una domanda un po’ più tecnica, ma che era anche questa acuminata: "la nozione di egemonia appartiene più alla sociologia americana o al marxismo?" punto di domanda e Togliatti rispose; ci furono poi e poi le leggende metropolitane su quello che successe dopo, quando finì la conferenza, se andarono a cena, non andarono a cena, cosa si dissero L'aspetto importante è che dopo due settimane Togliatti fece un articolo che io, permettetemi, dico "geniale" su ⇒ Rinascita dicendo "questi giovani contestano la politica del Partito - e lui la difese con argomentazioni tutte serie - però questi giovani in realtà non parlano di quello che in quel momento, nel '44, nel '45 si era svolto, ma parlano dell'oggi, dell'oggi, vogliono discutere di Socialismo, del rapporto tra democrazia e socialismo. Beh, considerate che nel '64 non era da tutti aver colto questa dinamica. Dopodiché si dice - finisco - che appunto Togliatti avesse invitato Sofri a Roma, ma nell'agosto del '64, Togliatti muore e quindi il discorso morì, però è un episodio famoso su cui ancora si discute. [Applausi]
[Liani 0:21:11]
Da sinistra, la tua sinistra, cartellino giallo e richiesta della prova VAR per lo sforamento. Il '68 scuote anche il mondo cattolico, nella sua articolazione associazionistica e sindacale, mettendo in discussione l'egemonia della DC: quale fu la reazione della Democrazia Cristiana ce lo ricorda Giorgio Cavallo.
Il '68 scuote anche il mondo cattolico, mettendo in discussione l'egemonia della Democrazia Cristiana: quale fu la reazione della DC?
[Cavallo 0:21:36]
Sì, diciamo che il mio resoconto di quegli anni non e quello di un protagonista, perché io vengo da molto prima, ho cominciato a interessarmi di politica dalla guerra di Corea alla guerra dell'Indocina, tanto per capirsi, dal periodo coloniale.
Il ragionamento che voglio fare è in qualche modo contiguo a quello fatto da Borghello poco fa, cioè gli anni '60, quindi quelli che precedono il '68, non sono anni di tranquillità sociale, assolutamente, sono anni molto importanti e mossi, sia sul piano politico che sul piano culturale. Sul piano politico si parlava del '64, ma tenete conto che in quell'anno l'esperienza del centrosinistra perde quel valore, diciamo così, di "novità" che aveva precedentemente, e si capisce che nell'ambito del centrosinistra sarebbero comunque continuati i meccanismi dell'egemonia democristiana, quindi ne discendono le rotture nel PSI, soprattutto all'interno delle fabbriche, e anche all'interno delle analisi che vengono fatte del modo di produrre, dei rapporti all'interno della classe operaia, cioè un momento di enorme capacità interpretativa e di valorizzazione di un punto di vista, appunto, di "classe", come allora si diceva. Dentro questo periodo la nostra realtà è piuttosto agitata, in maniera comprensibile in alcuni casi, un po' meno in altri. Io cito due questioni. La prima è il cambio di strategia atlantica conseguente alla crisi di Cuba. La crisi di Cuba ha un'enorme influenza sul Friuli dal punto di vista proprio strategico, perché da una politica di deterrenza nucleare su scala globale, per cui gli americani avrebbero dovuto sparare i missili sulla Russia, così come i russi da Cuba avrebbe dovuto sparare sugli Stati Uniti, si passa - invece - ad una deterrenza nucleare regionale, cioè legata ai territori, per cui Turchia, Italia, Nordest e Germania vengono dotati di testate nucleari che servono ad arrestare il nemico da far cadere nel loro territorio.
Quindi noi avevamo un cambiamento di strategia militare; allo stesso tempo cambia anche un'altra questione politica molto forte nella nostra regione cioè il ruolo di Gladio. Gladio, negli anni '50, era una struttura militare secondo me anche giustificata, cioè in caso di arrivo del nemico noi dobbiamo organizzare in qualche modo la resistenza… Nel '60 invece Gladio diventa la connessione tra servizi segreti e neofascismo, in funzione anche di obiettivi eversivi: colpi di Stato che nascono sia nell'ambito dei carabinieri, prima, per arrivare poi negli anni settanta all'ambito del Corpo forestale.In questa realtà come si muovono le situazioni? Le situazioni si muovono dando dei segnali, segnali che io noto nel mondo “cattolico”. Di quegli anni sono, in Friuli, la famosa lettera dei parroci [di ⇒ Glesie Furlane] che contestano la realtà territoriale del Friuli. Pur avendo iniziato ad operare, la Regione Friuli - Venezia Giulia nel '64, c'è l'immigrazione, ci sono le servitù militari, c’è la mancanza di infrastrutture e c'è soprattutto una contestazione del ruolo del Vescovo che, tutto sommato, faceva degli affari “interessanti”, dal suo dal suo punto di vista.
Io ho vissuto in quel periodo a Gorizia, seguivo la politica universitaria, per cui nei primi anni sessanta facevo parte degli organismi rappresentativi, che erano strutturati politicamente tra componenti di destra, di sinistra, con, a Trieste, una "bella", diciamo, presenza dell'estrema destra: con alcuni che poi dopo finirono nella strategia della tensione.
Proprio a Gorizia nacquero contestazioni nel mondo cattolico sul modo di utilizzare i soldi del “Fondo Gorizia” per la costruzione di una palestra, cioè in quegli anni all’inizio degli anni '68, iniziano fenomeni di contestazione locale caratterizzati da piccole questioni, ma che poi diventano un momento di contagio anche politico all'interno della Democrazia Cristiana.
Alcune forze - è chiaro qui il riferimento a quelle delle ACLI, ma soprattutto alla sinistra DC con Donat Catten e la FIM con Carniti - fanno capire che vorrebbero costruire una forza politica di sinistra, quindi nasce un esperienza molto limitata, molto particolare, che finirà nel '72 con la sconfitta elettorale e del MPL - con la mia prima candidatura in una elezione politica amministrativa -che scompare, per poi finire questo mondo, diverso da quello che precedentemente. nel mondo cattolico, si era sviluppato con l'enciclica “Populorum Progressio”.
Sono i primi anni sessanta: è un modo diverso di interpretare la realtà, più vicino al movimento del 68, modo che, da una interpretazione di sinistra, dà poi origine all'interno del PCI ai famosi “indipendenti”. Quindi c'è questa realtà che si costruisce e vive nel territorio. All'epoca frequentavo le parrocchie, perché ero uno degli esponenti, dirigenti della Federazione Italiana dei Cineforum, quindi fino al '72 ogni due tre sere finivo in qualche comune a presentare dei film dove si aprivano i dibattiti, e lì si vedeva una volontà abbastanza forte della gente di confrontarsi, ma soprattutto di scontrarsi in maniera dialettica. Prima democristiani e comunisti non si parlavano, all'interno di questa realtà, il modo nuovo era quello di cominciare a dare a ognuno la sua interpretazione... quindi è un mondo che si apre e che poi, ripreso l'MPL finirà in parte nel PSI, con alcuni dirigenti di peso, in parte nel PCI, in parte nella forze della sinistra cosiddetta extra-parlamentare o rivoluzionaria.
Ecco questo, è l'ambito che secondo me è più interessante per la nostra realtà. Contemporaneamente nacquero realtà “autonomiste”, come il Movimento Friuli che un po' grazie all'etilismo, un po' grazie ad una presenza propria, riuscì a fare tre consiglieri regionali nel 1968 alla direzione regionale. Etilismo perché il rappresentante socialista si fermò in osteria e non presentò la lista [nella circoscrizione di Udine]: insomma… quindi da lì… [Risa] e questa è storia...
[Liani 0:29:04]
Hai fatto bene a precisarlo perché sembrava che fosse il Movimento Friuli in preda al "Momo", come si dice in friulano
[Cavallo 0:29:13]
L'etilismo ha molta importanza nella storia del Friuli. I 130 depositi di Gladio di armi furono smantellati nel 1972 da Andreotti per un motivo molto banale: erano sotto sotto il controllo del colonnello generale Specogna, che aveva un po' il comando di Gladio, che sapeva dov'erano questi depositi, e a un certo punto - a parte qualche deposito che viene preso da alcuni fascisti da cui poi fu ricavato l'esplosivo... - raccontava in osteria dove erano questi depositi, e a un certo punto il Governo disse "Qui bisogna assolutamente farli sparire”. Ne sparirono tutti meno 2 o 3, dove nel frattempo si era costruito... il cimitero e così via... Alcuni probabilmente ancora forse sono lì con le armi... Questo era per dire com'era il clima dell'epoca e soprattutto come questo clima in qualche modo contaminasse tutti gli ambienti, anche se non aggredì la Democrazia Cristiana in maniera forte, perché poi Donat Cattin e Carniti, si ritirarono quindi Labor si trovò solo, con le ACLI, in quel momento però si apre uno spazio di discussione che è notevolmente interessante per gli anni successivi. Grazie.
[Liani 0:30:32]
Grazie anche per questo ho fatto inedito della gente... nome di copertura "Momo" . "Al plâs il momo"...
[Cavallo 0:30:39] … è nei libri di Storia.
[Liani 0:30:44]
Dunque adesso la parola a Gino Dorigo che una decina d'anni fa, se non sbaglio, ha scritto un libro che racconta la sua esperienza di operaio e di sindacalista. In quegli anni, come si viveva in fabbrica il '68, che a torto o a ragione veniva identificato allora solo come un movimento studentesco?
Come si viveva in fabbrica nel '68, che spesso veniva identificato con il movimento studentesco?
[Dorigo 0:31:15]
Beh, il '68 proprio io non l'ho vissuto in fabbrica, l'ho vissuto sotto la naja in Marina: c'era la leva di mare per tutti i giovani metalmeccanici, due anni - i siderurgici - a fare la naja. Son tornato e ho trovato gli studenti, sul portone della fabbrica. La cosa non era semplicissima, come primo approccio, perché sì, la rivoluzione, Marx, però questi qua, noi li vedevamo come dei privilegiati, figli di papà; tantissimi lo erano, non tutti: alcuni se la guadagnavano la pagnotta, studiando e lavorando ma la stragrande maggioranza, quelli lì dello Stellini... li vedevamo in faccia... e allora ricordo che il primo striscione, quello "Operai e studenti uniti nella lotta" accettammo di scriverlo proprio perché gli operai venivano prima dagli studenti. Operai. Poi ce n'era un altro ancora più bello "I lavoratori della Bertoli uniti nella lotta di classe per una società senza classi": era il nostro orgoglio, e lo portavamo dappertutto.
Sì, per noi il '68 fu l'autunno caldo, come ha detto un Nando prima, furono le grandi battaglie sindacali, in una realtà, come quella del Friuli, dove, sì, c'erano stati grandi episodi ed esempi di lotta prima, ma in cui un movimento così esteso da un punto di vista sindacale non c'era mai stato. Ricordo le grandi manifestazioni operaie per Udine, le prime grandi manifestazioni operaie per Udine e quelle signore lì, che ci vedevano passare "ma cosa vòli 'vèr quelli lì", "Eh, signora xe il sindacato che rovina l'Italia..." Dio... anche oggi...
Però, la grande svolta è quella legge: lo Statuto dei diritti dei lavoratori. L'inquadramento unico, per esempio, la retribuzione: la paga, per la prima volta nella storia sindacale del Friuli, ma non solo, diventava un elemento di discussione collettiva dentro la fabbrica Se prima, se la fabbrica aveva 50 operai, erano 52 modi di retribuire quegli operai “e non dirgli a quell'altro quello che ti do…”, anche se tutti e due facevano lo stesso lavoro: dividi e comanda. E con l'inquadramento unico si comincia a discutere, la paga diventa un elemento collettivo di ragionamento, e la mansione per la quale devo essere pagato, e i miei diritti...
Io ricordo che a uno dei fondatori dell'industria friulana che la menava con quella "Ma qua siamo tutta una famiglia, cosa vieni..." ho detto "Guardi che qua, la gente non viene mica perché deve cercare il papà e la mamma, ma viene perché devono lavorare, hanno diritto a una retribuzione, devono sapere che retribuzione hanno in funzione di che lavoro svolgono”. Non era mica semplicissimo farla capire anche i padroni, ‘sta storia qua... E poi le assemblee, pagate e retribuite sul posto di lavoro i delegati di reparto, i delegati di fabbrica.
Una volta portammo Lizzero fuori dalla Bertoli e lì una commistione strepitosa: la Costituzione entra nelle fabbriche, cittadini fuori, cittadini soprattutto dentro. Una grande battaglia di libertà e di civiltà che, secondo me, ha anche dato dei risultati perché ha segnato, ha caratterizzato la cultura, la mentalità, l'etica, in Friuli, e tutto questo poi noi lo ritroviamo per buona parte negli anni successivi specialmente negli anni della ricostruzione del Friuli.
Quindi un movimento sindacale che cresceva, una consapevolezza che veniva raggiunta, che specialmente noi giovani raggiungevamo: tu rompevi con la cultura dei "sotàns" insomma no... "del paròn, eh, ma ti da di vôre" e "Jo, ce dai jo a lui, la vite".
Ricordo un altro episodio... era la Settimana Santa e la direzione aveva preso un fratacchione che veniva a farci la predica ogni mezzogiorno lì sul portone, perché poi ci sarebbe stata la messa... quando questo qui ha cominciato a rompere le palle dicendo che noi siamo giovani, non abbiamo capito, quel padrone lavora anche più di noi perché lui lavora di notte, e che bisogna riconoscere e che bisogna rispettarlo... lo abbiamo tirato giù dal palco, eh, questo era un po' il clima.
Dopodiché torno a quello che dicevo all'inizio: c'era il modo da stare assieme, le lotte da mettere in piedi, la presenza degli studenti nei cortei dei lavoratori, presenza che qualche volta era gradita qualche volta meno, qualche volta si confliggeva, ma il più delle volte funzionava, perché il movimento poi cresceva anche con il contributo di tutti.
Una cosa ancora che posso dire: noi rompemmo anche con quella che era per certi aspetti la generazione dei sindacalisti prima di noi; non parlo degli episodi della Fiat. Per esempio nella mia fabbrica parlo di compagni, della CGIL e del Partito Comunista... e partigiani, gente che aveva difeso la fabbrica con la pistola sul tavolo nelle prime trattative, dai tedeschi in fuga, e che ci vedevano con diffidenza perché pareva loro che noi rompessimo con tutto un mondo che loro avevano costruito, ma noi andavamo troppo veloci, poi pian piano le cose si aggiustarono, ma io me li ricordo ancora addosso adesso, no, "Va’, taiti i cavei, con chei cavei tu somèis a un zingar.. tu mi fasis pierdi votos..." quindi c'era quel tipo di quel clima lì, questo tipo di rapporto conflittuale e non, quindi io penso tutto sommato: una grande grande stagione, con la quale ci siamo un po' confrontati tutti sulla quale abbiamo maturato tutti un pezzo importante della nostra vita, che secondo me va anche raccontata e studiata per quello che succederà qualche anno dopo Ma qua mi fermo, perché poi qui c'è tutto un capitolo che quello del terrorismo in Friuli, che riguarda anche quelli come me, perché io, un altro della Bertoli e uno della Solari ricevemmo per la prima volta in Friuli [delle lettere]: erano autentiche, il capo di gabinetto ce lo disse, era la prima volta che la Polizia di Udine vedeva delle lettere delle Brigate Rosse, e c'erano state mandate perché eravamo stati “segnalati come dei rivoluzionari” come della gente che insomma si ribellava “ci avrebbero contattato in seguito…” ma per fortuna così non andò!
Trascrizione (parte ⇒prima, ⇒seconda, ⇒terza) - Articolo ⇒principale
- Amministratore
- L'Assemblea
Con la maglia rossa, in mezzo ai suoi amici e compagni, il sorriso calmo e gentile.
Così resta dentro di noi Antonio Cerini, che ci ha lasciato, ma non nell'animo.
Un anno fa era riuscito a realizzare il suo sogno di scrittore, pubblicando i suoi libri "A Buenos Aires... d'estate" e "Apeiron", che ha presentato al Caffè San Marco, ancora casa per noi di "Quelli del '68".
Un abbraccio a suoi cari.
E' bello risentire la suo voce in questa intervista:
- Ferdinando Ceschia
- L'Assemblea
Trascrizione (parte ⇒prima, ⇒seconda, ⇒terza) - Articolo ⇒principale
Grazie all'impegno di Ferdinando Ceschia e sotto l'egida di CGIL, CISL e UIL, il 14 aprile 2018 venne realizzata a Udine l'iniziativa "Venne Maggio", per i cinquant'anni dal '68.
I materiali di quella giornata costituiscono tre approcci al '68, emozionale, musicale, e storico attraverso le "storie" personali raccontate in una tavola rotonda.
I filmati possono essere visti a pieno schermo cliccando sul quadratino in basso a destra, mentre la trascrizione della tavola rotonda è allegata o visibile dopo "dopo "Leggi tutto"
Un "Omaggio ai Sognatori d' orizzonte", introduzione emozionale al '68 nel mondo
La serata musicale, condotta da Rocco Burtone con la partecipazione di Alessandra Kersevan, Giancarlo e Alessio Velliscig, che ripropongono brani del "Canzoniere di Aiello", Francesco Ursino, accompagnato da Tony Longheu, Gianluca Zavan e Riccardo Casanova, e "Miss Eliana in rock", quartetto guidato da Eliana Cargnelutti. Nel corso della serata anche le testimonianze di Iris Morassi e Nadia Mazzer, a nome di Cgil-Cisl-Uil, incentrate sulle battaglie del movimento femminile all’interno delle fabbriche.
La tavola rotonda tenuta nel pomeriggio, cui hanno partecipato Ferdinando Ceschia, Roberto Muradore, Giorgio Cavallo, Giampaolo Borghello, Elia Mioni, Gabriele Donato e Gino Dorigo, coordinata da Giuseppe Liani.
Della tavola rotonda, sottotitolata, forniamo anche una trascrizione (parte ⇒prima, ⇒seconda, ⇒terza) che affronterà diversi temi sul periodo spesso indicato come "Il '68": Venne Maggio, Udine 17 aprile 2018
- Quali sono le questioni sollevate dal '68 ancora attuali? [Ceschia 0:05:22]
- I segnali che annunciavano una stagione che sarebbe stata diversa dalle altre. [Borghello 0:10:58]
- Il '68 scuote anche il mondo cattolico, mettendo in discussione l'egemonia della Democrazia Cristiana: quale fu la reazione della DC? [Cavallo 0:21:36]
- Come si viveva in fabbrica nel '68, che spesso veniva identificato con il movimento studentesco? [Dorigo 0:31:15]
- Da studente a operaio, le ragioni di una scelta. [Muradore 0:40:33]
- Dal movimento studentesco alla militanza politica: dal particolare al generale? [Mioni 0:48:47]
- La violenza politica è un prodotto inevitabile o un corpo estraneo al 68? [Donato 0:57:29]
- L'esercito in Friuli e il movimento del '68 tra i soldati. [Ceschia 1:04:35]
- Rapporti tra Movimento studentesco e Partito Comunista. [Borghello 1:12:11]
- Rapporto territorio - potere centrale nella riscoperta delle proprie identità culturali [Cavallo 1:19:26]
- Il terrorismo. [Dorigo 1:26:29]
- Alla fine, ha vinto il Sistema? [Muradore 1:33:30]
- Era più facile parlare del Vietnam che della condizione nelle fabbriche? [Mioni 1:39:24]
- La strategia della tensione inquinò il '68? [Donato 1:46:44]
- La lotta delle donne nel Commercio. [Morassi 1:52:19]
Trascrizione (parte ⇒prima, ⇒seconda, ⇒terza) - Articolo ⇒principale
VenneMaggio-Trascrizione.pdf (0 kB) Venne Maggio - Tavola rotonda
- Amministratore
- L'Assemblea
Ferdinando Ceschia, che già abbiamo conosciuto in queste pagine per tutte le iniziative che ha organizzato, volte a tener alti gli ideali del '68, lascia oggi il suo incarico sindacale presso la Feneal UIL, ce lo comunica ⇒ sul suo profilo Facebook. Come dice nel suo post "Lavorare per i più deboli non farà mai di noi dei disoccupati".
Ferdinando ricorda gli inizi del suo lavoro sindacale nel dopo-terremoto: "Ad un anno dal devastante terremoto in Friuli, mi fu offerta l'opportunità di prendere parte, assieme con altri, ad un enorme e complesso disegno di ricostruzione e di rinascita della nostra terra. Un disegno che conosco bene, che ci riempie ancora d'orgoglio e che fu possibile anche grazie ad un sindacato unitario che fece da solido presidio per la legalità e i diritti dei lavoratori, in assonanza piena con articolazioni dello Stato allora essenziali e meritorie come Medicina del Lavoro, Ispettorato del Lavoro, Ispettorato INPS e Ispettorato INAIL. Un sindacato unitario in grado di assumere con le istituzioni stesse un ruolo di interlocutore autorevole e serio".
In questa occasione vogliamo riproporre la sua intervista sul '68 messa in onda da Telefriuli.
- Assemblea del 19/06/2020
- Presentazione di "Microfisica di un movimento"
- Microfisica di un Movimento. Economia occupata. Trieste, dicembre 1969
- Febbraio-marzo 1970: una svolta nel movimento
- Come il console greco di Trieste salvò gli ebrei
- Conferenza sulla Cina 10 gennaio 2020
- Assemblea del 18/12/2019
- A 50 anni dall'occupazione di Economia
- Assemblea generale 18 ottobre 2019
- Istituto Parri: per la libertà di parola e di ricerca
- Sostegno all'ISREC FVG
- Francesca Socrate, “Il Sessantotto. Due generazioni”
- Seconda parte del documentario RAI FVG sul '68
- Alla RAI Regionale FVG un documentario sul ‘68 nel territorio
- Al Posto delle fragole riflettendo sul Sessantotto
- Mostra di Ivano a Trieste dal 3 novembre
- Incontro a Samatorza/Samatorca 13 ottobre 2018
- Ai bambini del territorio di Monfalcone esclusi dalle scuole materne
- Enrico Petris, Margini del 1968 - Profeti e servizi segreti
- Ad Aquileia il 24 agosto
- Visite guidate alla mostra 9 e 17 giugno
- Riflessioni e testimonianze di protagonisti delle lotte sindacali degli anni '60 - '70
- BIOEST 3 giugno 2018 - Visita guidata 9 giugno
- Mostra di Ivano Battiston a Venezia
- Vanni De Lucia a Telefriuli
- Incontro a Samatorza/Samatorca 11 maggio 2018
- Il Primorski Dnevnik e la mostra sul '68 a Trieste
- Inaugurazione della mostra a Trieste
- Inaugurazione della mostra a Udine
- Poster