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Goliardia e lotta di classe di Paolo Pascolo

I goliardi dicono che la goliardia è un modo di vivere l'Università e che essi vogliono viver gli anni dell'Università come occasione di crescita culturale, ma anche come occasione di divertirsi in maniera burlesca e allegra; prendendo in giro le istituzioni, le burocrazie e le convenzioni che invadono la vita di tutti e la soffocano. Io, Paolo PascoIo, non la vedevo così.

Mi ero iscritto all’Università, timoroso però di non farcela. Non avevo fatto le medie (ora primarie), ma la scuola d’avviamento al lavoro, poi l’Istituto Tecnico Malignani. Insomma un figlio del proletariato, per giunta più giovane di un anno rispetto ai miei compagni di corso perché avevo iniziato le elementari a cinque anni.

Venendo dalle professionali vedevo gli studenti che frequentano l’Università come appartenenti alla classe degli agiati, quasi fossero dei nobili ed io un servo della gleba. E questa visione di “classe” faceva il paio con le cariche nell’interno della goliardia, come il “Gran Balì” e via discorrendo.

Sentivo parlare di Goliardi e dei minus quam merdam che eravamo noi studenti del primo anno. Sentivo parlare di scherzi, anche pesantissimi, di grandi bevute estorte da quelli che avevano i bolli. Non ho mai accettato scherzi da sconosciuti, tanto meno disponevo di denaro da scialacquare in cazzate, a favore di altri.
La cura che i goliardi dedicavano alle matricole era di fatto inversamente proporzionale alle loro bevute.
Comunque anch’io sono stato oggetto di un sistematico tentativo di dileggio, ma avevo in serbo una carta da giocare: l’insegnamento di mio padre Ferdinando ( http://www.umanitadentrolaguerra.it/ ). Tutti ora conoscono le sue gesta, sul fronte russo e nella lotta di liberazione, ovvero la storia di “Silla”, ma quella volta era un semplice impiegato magazziniere.
Questa fu la sua lezione:"scegli il più debole e più fragile del gruppo dei goliardi, avvicinalo in un'occasione dove è solo e digli: perché ce l'hai con me? Non puoi essere che tu a organizzarli contro di me, perciò qualunque cosa mi accada ti riterrò unico responsabile, me la prenderò con te, solo con te, e sarò spietato"; le vessazioni finirono. Mio padre mi aveva anche educato alla solidarietà, perciò non potevo abbandonare le altre matricole, anzi, capita la lezione, mi misi in cerca di appoggi per organizzare le masse. Parallelamente, un indomito cavaliere nel cuore, spero non di censo, tale Carlo Bressan, stava forse meditando lo stesso approccio proletario, la massa contro il padrone, contro il sopruso.
Ci trovammo perciò davanti all'aula di ingegneria, dopo la lezione di, credo, geometria con Arno Predonzan, schierati in attesa c'erano i goliardi, noi, avanguardia proletaria, indottrinammo le masse, poi ordinammo la carica. Fu il loro ultimo atto, secondo me si spaventarono alquanto. C'era anche Franco Schenkel, arrivato qualche minuto dopo la "carica", a godersi la disfatta dei goliardi.
La goliardia, che forse fino alla metà degli anni sessanta aveva un senso per nobili e borghesi, in quanto pari, ora è rinata in forma insulsa e si conclude sempre con scherzi banali al grido patetico di: "Dot-tooree, dot-tooree, dottore del buso del cul, vaffancul, vaffancul". E questa è anche l'aria dei tempi.

Paolo Pascolo

 

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Nota: Sulla lotta contro il bullismo goliardico nel '68 a Trieste sono stati presentati nel sito da Furio Petrossi alcuni documenti, e sono state pubblicate le testimonianze dirette di Claudio Venza (Bullismo goliardico negli anni '60) di Carlo Bressan (alla fine dell'articolo Occupazione di Ingegneria)e di Paolo Pascolo (Goliardia e lotta di classe). Nei "Fatti dell'aula F del 9 dicembre 1968" sono stati coinvolti diverse persone vicine al gruppo "Quelli del '68": erano all'interno dell'aula F, in qualità di studenti del primo anno. Tra essi Furio Petrossi e Fulvio Bozzetta. 
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Nota: viene trascritto un commento di Franco Schenkel sul tema:

"Caro Paolo, (...) Non solo condivido il taglio della tua nota, con l'evidenza dell'aspetto di classe della decadenza della goliardia, almeno per come l'abbiamo conosciuta noi, ma credo che a Trieste l'afflusso  all'università di studenti "proletari" dagli istituti tecnici abbia rivoltato la fisionomia sociale della stessa istituzione accademica, forse in misura più significativa di altri atenei, città e regioni di maggiori dimensioni. Credo anche che questo cambiamento sia una delle principali "molle" del nostro '68. La fine della goliardia, come la riduzione del nonnismo nell'esercito di leva mensile, sono effetti collaterali di un mutamento strutturale e di un diverso ambiente politico e culturale. Speriamo siano irreversibili.

C'ero anch'io fuori dall'aula F (mi pare), ma sono arrivato qualche minuto dopo la "carica" e ho solo assistito alla disfatta dei goliardi. Ringrazio te e Carlo per aver suscitato quell'episodio di lotta di classe, che ricordo bene e con piacere. Io venivo dal liceo classico e da un primo anno di Architettura a Venezia, ma i soprusi ingiustificati dei goliardi (e poi dei "nonni") non li ho mai sopportati e non trovavo divertente nessuna delle loro espressioni."