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Lucia Marcheselli è stata docente di letteratura neogreca a Trieste e Venezia; i suoi interessi spaziano dagli aspetti più particolarmente letterari, come la poesia e la metrica, a quelli linguistici, quali l'uso della lingua greca nell'area balcanica, a quelli storici, in particola sulle relazioni tra greci e soldati di occupazione italiani (su questo tema riportiamo anche in streaming audio un suo intervento del 2009).

L'intervista che proponiamo è stata effettuata nel 2008 nell'ambito di una ricerca (*) di M. Cattelan, S. Moretton e C. Ratzenbeck coordinata dal prof. C. Venza sul "sessantotto a Trieste"  ⇒ reperibile on-line e, per comodità, allegata in coda all'articolo.

Lucia ha sostenuto la resistenza greca contro il regime dei colonnelli con contatti con le formazioni della resistenza; suo compagno è Efstathios “Stathis” Loukas, medaglia al valor civile per la Resistenza contro la dittatura. 

Intervista a Lucia Marcheselli Loukas di Caterina Ratzenbeck

Buongiorno professoressa Marcheselli. Come domanda iniziale vorrei che si presentasse: quando e dove è nata, la formazione ricevuta, l'attività in cui era impegnata nel periodo del Sessantotto.

Io sono nata a Bologna nel 1942. Sono la maggiore di undici figli. Quando avevo 9 anni mi sono trasferita in una città piccola delle Marche che è Senigallia, un posto dove c'è il mare; per poter andare tutti in vacanza senza spendere una lira, bastava uscire dalla porta di casa.
Ho fatto il liceo a Senigallia e poi ho fatto un po' di concorsi in giro per andare all'Università e ho avuto il posto all' Università Statale di Milano. Ho fatto quindi l'università come borsista a Milano, nel collegio dell' Università di Stato. Ma tutto questo avveniva prima del '68, perché nel '65 mi sono laureata in Lettere avendo seguito il corso di Lettere moderne. Ero studentessa lavoratrice nonostante fossi una borsista, poiché i soldi servono, anche quando ti danno da mangiare e da dormire, se non altro per pagarsi l'autobus e comprarsi i libri. E quindi avevo scelto il corso che per me era più facile, ma alla fine mi sono laureata col professore di greco classico.

Ho fatto una tesi tra greco classico e greco moderno e questa è la ragione per cui poi sono finita a Trieste.

Il primo marzo 1966 avevo preso servizio qui come lettrice di neogreco in un istituto di studi bizantini e neoellenici. Sono arrivata qui non conoscendo nessuno. Ho conosciuto alcuni miei colleghi giovani che erano più o meno miei coetanei o forse un po' più grandi. Ho conosciuto anche Z. e B. che erano studenti, a quei tempi, di Lettere classiche. Poi ce n'erano altri che sono andati in pensione e che non sono più qua. Sono rimasta qui e ho fatto qui tutta la mia carriera.
Questo è tutto.

Però cosa c'è da dire? Che io sono stata negli anni relativi al '68 e alla contestazione studentesca molto legata ai problemi della Grecia. In Grecia c'è stato un colpo di stato il 21 aprile '67. In seguito ci sono stati moltissimi giovani fuoriusciti, molti erano anche all'università di Trieste, dove ho conosciuto anche mio marito.

Siamo stati sposati per 37 anni. Siamo tuttora sposati voglio dire. Quindi facevo molta più attività per la resistenza greca che non per il Movimento Studentesco anche perché ovviamente ero una docente e non ero una studentessa. Partecipavo alle assemblee chiaramente. E mi ricordo di tutti quelli che erano in prima fila, la M. S. con una gamba in gesso, quand'era matricola, che faceva i suoi interventi e poi B. e Z. e poi tutti questi qua che erano i ragazzi del Movimento Studentesco. Ma siccome venivo da Milano, frequentai molto di più il Movimento Studentesco di Milano dove c'erano ancora le mie amiche. Poiché nel '68 molte ragazze che erano con me in collegio non si erano ancora laureate.

Com'era la situazione a Milano?

A Milano la situazione era turbolenta, nel senso che si facevano le manifestazioni e si facevano anche a volte manifestazioni non autorizzate, la polizia ci correva dietro, ci asserragliavamo dentro all'università.
Ho memoria di un 18 aprile, che ritengo fosse il 1970, in cui siamo rimasti chiusi dentro l'università con la polizia che ci assediava di fuori. Eravamo io e un amica più o meno coetanea (27-28 anni) e ci siamo accorte che c'erano ragazzini del ginnasio. Abbiamo detto: "Qua siamo le più vecchie, andrà a finire che diranno che abbiamo fatto un sequestro di persona". Ma siccome quella era la nostra università e la conoscevamo bene, abbiamo fatto uscire i minorenni. A quei tempi si diventava maggiorenni a 21. Ma i minorenni più giovani, fino a 16 anni, li abbiamo fatti uscire dal garage sotterraneo e ci siamo defilate pure noi, con un'aria compunta. C'era la polizia che aspettava anche nella parte dietro ma noi abbiamo detto: "Noi non c'entriamo niente", che dovevamo fare? E quindi basta, è finita là la storia.

In quel periodo c'è stata la spaccatura del Movimento Studentesco: Lotta Continua da una parte, Potere Operaio dall'altra. Ci siamo dette: "Questi non vanno da nessuna parte". Allora questa mia amica è andata con i Radicali, mentre io sono andata ad iscrivermi al Partito Comunista, e lì è finito il nostro contatto con il Movimento Studentesco, che qui a Trieste non ha fatto grandi exploit; faceva delle assemblee, giustamente e logicamente.

Io sono stata per un breve periodo rappresentante degli assistenti, perché i lettori una volta erano nello stesso gruppo degli assistenti, solo avevano in più l'obbligo di far lezione di lingua, oltre ai normali compiti dell'assistente (che erano: assistere il professore in qualunque sua necessità). Io avevo un professore che mi faceva fare 40 ore alla settimana di istituto, compreso il sabato. E ho dovuto fare delle lotte per ottenere un sabato libero su due con il professor G., che poi se ne è andato a Napoli. Ora è morto. Lui interpretava il manuale di gestione dell'università nelle sue massime possibilità. Mi faceva fare tutto, compresa la contabilità. Tutto. Eravamo solo io e lui in quell'istituto. Poi per fortuna se n'è andato. Dopo mi è capitato di peggio perché è
arrivata una professoressa che faceva il meno possibile e oltre a farmi fare tutto mi mandava anche a far lezione al posto suo. Quindi non è stata proprio una passeggiata tutto sommato.

- Non c'era la docenza sufficiente?

La docenza c'era anche, però non c'erano delle regole chiare per sapere cosa uno era tenuto a fare e cosa non.
E dopo avevo delle sorelle, due, ed un fratello, che nel frattempo erano entrati all'università, ma loro erano a Bologna e quindi ho frequentato un po' il Movimento Studentesco di Bologna. Mi ricordo che andavo ai seminari, che erano di sabato pomeriggio, quindi io scappavo di qui a mezzogiorno e mezzo e alle cinque mi infilavo nel seminario con mia sorella e leggevamo: "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" di Walter Benjamin. E' stata una lettura molto interessante. Naturalmente io stavo zitta perché non c'entravo, ero infiltrata, però erano delle cose belle che io qui non ho visto fare.

- Quindi comunque questo Movimento era nazionale, però ogni città aveva le sue specificità...

Certo, ogni città aveva le sue specificità. Non solo, ogni facoltà aveva le sue settorialità.
Quelli che hanno fatto più movimento sono stati Trento - Sociologia - sicuramente, Pisa, Milano sia Statale che Cattolica, ma per esempio il Politecnico molto meno, Architettura a Venezia.

Qui a Trieste la situazione era un poco meno strutturata, insomma. C'era il movimento, ma non era così organizzato (almeno per quello che io ricordo). Mi ricordo che una volta abbiamo fatto un'occupazione, ma l'abbiamo fatta col personale.

Comunque è stato un bel momento il Sessantotto: io, che ho vissuto la mia adolescenza negli anni Cinquanta in una città di provincia, posso dire che il '68 ci ha salvato la vita perché se non altro si sono spalancate le finestre. Voi non potete neanche immaginarcelo cosa fosse la vita prima. Le cose più stupide, più assurde, le limitazioni più cretine; negli anni '50 una ragazza seria non poteva stare fuori dopo le otto di sera, neanche d'estate, praticamente, se non era in compagnia di un accompagnatore (beate quelle che avevano un fratello maggiore, perché chi non ce l'aveva doveva andare col babbo). Si andava a messa col papà e con la mamma, cioè delle cose allucinanti. Certo noi vivevamo così e non ci rendevamo neanche tanto conto, poi quando abbiamo visto che si poteva vivere assai diversamente è chiaro che siamo state assai contente.

Non è neanche spiegabile che cosa era la vita prima del '68, i giovani di adesso non lo possono neanche lontanamente immaginare. Per esempio andavamo al cinema negli anni '50 ('57), vedevamo James Dean e non capivamo che cosa volevano, li vedevamo che potevano andare dove volevano, andavano a scuola in macchina, uscivano alla sera: cosa avevano poi da lamentarsi? Noi non riuscivamo neanche a capire.

- L'America era dunque all'avanguardia in questo...

Certamente. Per esempio io da piccola leggevo "Piccole donne" e mi ricordo che mi sono stupita della loro grande libertà! Questo per dire come vivevamo noi in confronto: queste potevano andare a fare un pic-nic con un maschio! Noi a scuola, alle elementari, avevamo le porte separate: da una parte della strada c'erano i maschi e in un altro posto c'erano le femmine, cioè non ci vedevamo mai. Non solo non c'erano le classi miste, non c'erano neanche i corridoi misti. Cioè uno dice: "A 10 anni che cosa potrà mai succedere?", ma c'era proprio questa idea che non si doveva correre nessun rischio secondo loro.

Noi eravamo in più sorelle e il sabato pomeriggio avevamo il permesso di andare al cinema e c'erano sempre i pedofili che ci davano fastidio, ma noi non lo dicevamo ai nostri genitori altrimenti non ci avrebbero più lasciate andare al cinema.

Noi per avere il divorzio e la 184 abbiamo fatto delle lotte. Abbiamo fatto delle lotte per avere gli asili nido! Il problema di adesso è che è difficile far capire ai giovani che devono tenere salde le conquiste che il '68 ha raggiunto! Però purtroppo essi non si rendono conto che nulla è scontato, che te lo possono portar via da un momento all'altro.

- I giovani di oggi, a mio parere, non sono pronti a fare una rivoluzione analoga a quella del Sessantotto, perché non hanno le basi teoriche né pratiche. Lei cosa ne pensa?

I giovani d'oggi, in questa società, non hanno uno sbocco per il futuro. O ce l'hai già pronto, nel senso che magari i tuoi genitori hanno un negozio e quindi poi speri di prendere il loro posto, oppure è molto difficile; neanche un laureato in ingegneria ormai ha un futuro certo. Quindi come si fa a fare la rivoluzione in queste situazioni? Non si può, per cui si cerca di arrangiarsi.

I giovani, inoltre, non hanno nemmeno un punto di riferimento su cui appoggiarsi, quindi dovete inventarvi qualche cosa, noi ormai siamo vecchi e la nostra vita l'abbiamo vissuta. Certo è già successo (periodo post Rivoluzione francese), per cui qualcosa accadrà. Non credo che si possa fare una rivoluzione ai nostri tempi, però si possono cambiare gli equilibri. Nel '68 si pensava di attuare una lotta alla globalizzazione facendo una lotta al consumismo: è stata una battaglia perduta, che è testimoniata dal crollo dei regimi del socialismo cosiddetto reale, che erano per l'appunto anticonsumistici proprio per principio

- Veniamo dunque all'occupazione della facoltà di Lettere e filosofia: lei che cosa si ricorda dell'accaduto?

Non mi ricordo esattamente i giorni in cui c'è stata l'occupazione della facoltà... mi ricordo però che era inverno e che pioveva e un giorno i ragazzi, volendo entrare in facoltà, si sono visti la porta chiusa in faccia, e sono entrati dalle finestre. La segretaria, rivolgendosi a me: "Li go visti, xè tutti muli nostri!" Certo! Erano i ragazzi della facoltà di Lettere.

I ragazzi dell'università su (sede centrale di piazzale Europa) hanno fatto un'occupazione, nel '68, in solidarietà con la Grecia, perché c'era stato un tentativo da parte di Alexandros Panagoulis di uccidere il dittatore e naturalmente, dopo averlo catturato, l'hanno torturato in tutti i modi e condannato a non si sa quanti anni di carcere. Poi, per fortuna, la dittatura nel '74 è caduta, ma lì per lì non si sapeva quanto poteva durare, per cui c'erano questi "moti di solidarietà" con gli studenti greci.

Qui da noi (a Lettere), c'è stata un'occupazione che non è durata molto: si facevano delle assemblee, si parlava, si discuteva, però, in realtà, non c'era come posso dire, una direzione generale del Movimento Studentesco, che si è evoluto in maniera piuttosto violenta e comunque differente a seconda dei posti in cui si trovava.

Poi si è visto che non si riusciva ad incidere sulla società (anche se alcuni obiettivi sono stati raggiunti).

Del resto il maggio francese è finito anche prima; De Gaulle è riuscito a farlo completamente finire. Il maggio francese era stato molto più pirotecnico di quello italiano, tutto sommato, però è stato represso con molta più vigoria. Ma anche perché la Francia ha Parigi, l'Italia ha cento città, per cui diventava estremamente più difficile reprimere un movimento che non stava in un'unica città. Anche nelle piccole università del centro-sud, perfino a Camerino, università piccola e isolata, c'è stato il '68. Anche lì c'erano gli studenti greci e c'erano dei movimenti antifascisti che erano in solidarietà con la Grecia e con le rivendicazioni studentesche, ecc.

- Quindi ogni università risolveva i suoi problemi nel suo piccolo?

Sì. Ma ci sono stati anche dei tentativi di coordinamento, che però hanno portato alla distruzione del Movimento Studentesco in quanto tale. Perché c'è stata prima Lotta continua, poi Potere operaio, poi c'è stata Comunione e Liberazione, che non so come si chiamasse all'inizio ma era poi questo. E in ogni caso non si capiva bene, in quel momento, dove si potesse arrivare. L'università così com'era, non funzionava più in una società cambiata.

- Infatti è emerso, dalla lettura dei verbali degli organi di facoltà, che non solo molti studenti, ma anche una parte consistente di insegnanti, richiedevano una riforma dell'università.

Esatto. Si sentiva proprio il bisogno di un cambiamento degli ordinamenti interni all'università.

Diciamo che la riforma è stata fatta, ma non sono stati messi in pratica quegli aspetti atti a portare avanti quella riforma, nel senso che, detto fuori dai denti, le riforme senza soldi non si fanno. Quindi tu non puoi consentire agli studenti provenienti dagli istituti tecnici di iscriversi alla facoltà di Lettere senza dar loro un supporto che permetta di far capire loro di che cosa si sta parlando. L'istituzione non ha effettivamente provveduto a permettere l'accesso a tutte le facoltà liberamente.

- Ed era proprio questo ciò che gli studenti chiedevano.

Sicuramente. C'erano delle persone che prima del '68 magari avevano 23, 24, 25 anni, un'esperienza lavorativa alle spalle, ma che avevano degli interessi letterari, per esempio, e che non potevano accedere alla facoltà di Lettere e filosofia! Se uno aveva fatto ragioneria, magari anche controvoglia e senza troppo interesse o perché i suoi genitori erano poveri e l'avevano indirizzato in quel senso affinché potesse trovare un lavoro, ecco che quello poteva iscriversi solamente ad Economia e commercio.

Il '68 ha liberalizzato gli accessi all'università, ma non ha dato i supporti adatti perché questo cambiamento potesse reggersi e durare nel tempo.

Quello che posso dire è che gli ultimi quarant'anni hanno visto un'accelerazione del cambiamento enorme. Quand'ero una ragazzina non c'era la televisione! Non esistevano ragazzi che avevano il motorino (almeno non nelle città di provincia come quella nella quale vivevo io, forse nelle grandi città i ricchi ce l'avranno avuto), erano ricchi quelli che avevano la bicicletta... per cui era davvero un altro mondo.

Si entrava all'università minorenni (quella volta la maggiore età si raggiungeva a 21). Io stavo in un collegio universitario laico in cui, se volevi uscire la sera dopo le 22, dovevi avere il permesso dei genitori!

Quindi il '68 è stato un momento molto interessante, anche perché c'era del movimento, la gente si muoveva, parlava, si usciva di casa, finalmente. E questo era importante. Poi ci sono state tutte le deviazioni, che noi stiamo pagando ancora adesso. Il terrorismo, che è vero che è uscito dal Movimento Studentesco e comunque dalle agitazioni, era però una frangia minoritaria, non era la maggioranza, ma ha fatto un sacco di danni. Li ha fatti soprattutto perché questi non avevano capito che la società italiana non voleva quello; se l'avesse voluto qualche cosa si sarebbe fatta. Invece il risultato ottenuto sono stati gli anni Ottanta, che sono stati gli anni più stupidi della mia vita.

Qui a Trieste, che era una città abbastanza tranquilla negli anni Settanta, non è successo quasi niente, ma nelle grandi città la gente aveva paura di uscire di casa. Il Movimento Studentesco non poteva esprimere un progetto politico adeguato e le forze politiche (compreso il Partito Comunista) non erano in grado di capire che cosa stava succedendo veramente.

Credo sia fatale che le persone adulte non siano in grado di capire che cosa pensano i giovani, in un momento di cambiamento.

- Eppure quelle persone che ora sono adulte sono state giovani anche loro!

Sì, sono state giovani, ma in un mondo diverso, con altri problemi. Infatti nel Sessantotto noi abbiamo litigato da morire con i nostri genitori: loro restavano fermi nelle loro posizioni, e magari anche ci dicevano: "Ma voi di cosa vi lamentate? Avete avuto tutto quello che volevate". Certo, ma ce lo siamo guadagnato con fatica, nessuno ci ha regalato niente! Io del '68 questo mi ricordo in particolare, anche perché ormai ero fuori dall'Università.

- Ha avuto conflitti, pratici e/o ideologici, con la famiglia nel '68?

Sì, sì. Diciamo che conflitti pratici non ne ho avuti perché quando ho iniziato a lavorare, e di conseguenza a rendermi indipendente economicamente, potevo fare, dire e pensare tutto quello che volevo (e guai se non fosse stato così). Però poi si litigava sulle questioni teoriche.

- Che approccio ha avuto poi con i suoi studenti riguardo il '68?

Ai miei studenti io ne ho sempre parlato bene. Ho sempre detto che il 1968 ci ha salvato la vita. Ha permesso di chiarire alcune contraddizioni, se non altro.

A noi nessuno aveva detto niente, noi siamo nati dopo la guerra, dopo la Resistenza: chi ci parlava di queste cose? Nessuno. Quelli che l'avevano vissuta ne avevano piene le tasche e non ne parlavano. E quegli altri non l'avevano vissuta e quindi non sapevano.

Quando io avevo 18 anni c'è stata la nota storia del governo Tambroni nel 1960, con la rivolta a Reggio Emilia, Genova, con la polizia che ha sparato e poi il governo è caduto. La storia dei ragazzi con le magliette a strisce; noi le magliette a strisce le avevamo, ma non ci siamo accorti di niente. Io in luglio probabilmente stavo facendo un viaggio premio all'estero (ottenuto perché avevo avuto dei buoni voti a scuola), per questo non ho sentito la notizia. Quel fatto l'ho imparato dalla storia, ciò vuol dire che non capivamo niente e non avevamo idea di quello che stava succedendo nel mondo. Era come se quelle notizie non ci dovessero interessare e quindi ci interessavamo d'altro.

Poi c'è stata l'educazione sessuale, la contraccezione: per noi era una cosa bellissima, pareva come di stare entrando nel mondo! (Io avevo 25 anni, se uno ci pensa è allucinante! Però fino a quel momento lì non mi ero interessata ai massimi problemi dell'esistenza sia perché ero impegnata in molte attività, sia perché un po' te le tenevano nascoste ).

- Quindi, in conclusione, vorrei che mi presentasse un bilancio sia sul suo '68 personale che sul '68 collettivo.

Come bilancio personale il '68 è stato molto importante. Perché noi femmine della mia generazione, della piccola borghesia e penso anche dei proletari, non eravamo state allevate per divenire persone umane, ma persone utili. E se tu entravi in questa logica, vedevi te stessa come una persona che deve rendersi utile, non come una persona che può avere anche dei desideri, ti adattavi alle necessità degli altri (nonni, genitori, fratellini); tutte persone che avevano bisogno di te, si suppone.

Era un mondo diverso! Io sono ben felice di aver vissuto in questa epoca. Tutto il Sessantotto io l'ho vissuto andando al Movimento Studentesco a Milano e andando al Movimento Studentesco a Bologna. Qui a Trieste stavo solo quando dovevo lavorare. Appena non dovevo lavorare tagliavo la corda, anche perché qui non conoscevo nessuno, quando sono arrivata: Trieste è una città con pochi giovani, è un posto in cui si vive tranquillamente, ma non è un posto per i giovani perché non offre loro opportunità.

Quello che mi dispiace, tirando le somme, è che molto è andato perduto. Quelli che adesso dovrebbero apprezzare i frutti del '68 secondo me non si rendono conto, danno tutto per scontato, ma scontato non lo è per niente.

Da: (*) Marco Cattelan, Sara Moretton  e Caterina Ratzenbeck del 2007: "IL SESSANTOTTO A TRIESTE Analisi socio-politica e ricostruzione della storica annata" , pagg. 81-89. Ricerca condotta nell'ambito del corso di Storia dei Partiti e dei Movimenti Politici tenuto dal Professor Claudio Venza durante l' A.A. 2007-08, ⇒ Sito Academia.edu 


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