Il 26 febbraio 2019, presso la libreria Ubik di Trieste, Francesca Socrate ha presentato il suo libro “Il Sessantotto. Due generazioni”.
L'iniziativa è stata promossa dal Centro Internazionale di Studi e Documentazione per la Cultura Giovanile e dall’Istituto Regionale per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea nel Friuli Venezia Giulia. Di seguito viene presentata una relazione di Claudio Venza.

Ha aperto l’incontro Gabriella Valera, già docente del Dipartimento di Storia di Trieste e animatrice del Centro per la Cultura Giovanile, che ha inserito l’iniziativa all’interno di una serie di incontri che ruota attorno al concetto di “sguardi dalla città”, ovvero diversi modi di esprimere forme di “cittadinanza interiore”. Ha dichiarato, cosa che fa raramente, di aver apprezzato davvero il libro di Francesca Socrate, già docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, per diversi motivi. Tra questi, l’attenzione dedicata alle retoriche delle due generazioni partecipanti al Movimento del ’68: quella nata durante la guerra e quella nel dopoguerra. L’analisi di Socrate valorizza la fonte biografica attraverso numerose interviste e la verifica delle espressioni ripetute dai protagonisti (talvolta in modo ossessivo), apporta nuovi materiali all’oggetto di studi. A sua volta la tematica è parte integrante della nostra storia personale (dell’autrice, di lei e di parte del pubblico presente in sala) ormai diventata tema da ricerca scientifica.

Tale coincidenza pone dei problemi metodologici che Francesca ha opportunamente affrontato e positivamente risolto. Ha rinviato quindi al problema generale di un “nuovo urbanesimo”, cioè la non facile definizione di uno spazio tutto da scoprire. E’ questa una lettura del ’68 che rinvia a questioni tuttora aperte. Infatti, secondo Valera, questo spazio non può essere né pubblico, né privato, né semplicemente comunitario.

Ha continuato la presentazione Gloria Nemec, già docente negli istituti superiori e al Dipartimento di Storia e attuale Direttrice della rivista “Qualestoria”,

mettendo in evidenza come questo lavoro sia diverso rispetto alle celebrazioni del Cinquantenario. Ha comunicato l’avvio promettente della convenzione, da poco sottoscritta, tra l’Istituto Parri, al centro della rete degli Istituti della Resistenza, e l’Associazione Italiana di Storia Orale. L’obiettivo dell’accordo riguarda la digitalizzazione delle testimonianze raccolte sul Sessantotto per renderle largamente accessibili. L’Autrice, ha sottolineato Nemec, ha scelto la strada delle “storie di vita” degli intervistati che dà ampio rilievo ai periodi precedenti e successivi al 1968 inteso in senso strettamente cronologico. Emerge così l’immagine reale di una notevole diversificazione delle esperienze che solo le Fonti orali potevano concretizzare. Il movimento del 1968 inizia, sia pure in modo geograficamente difforme, nell’autunno del 1967, raggiunge il culmine il 1° marzo con gli scontri di Valle Giulia (su cui ha ricordato l’infelice commento di Pier Paolo Pasolini) e si conclude brutalmente, insieme al movimento operaio dell’anno dopo, con le bombe di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969.

Il ’68 viene considerato sul versante universitario che presenta alcune caratteristiche peculiari. Il Movimento si batte decisamente contro il privilegio, ma si rende pure conto di vivere in “piccole isole di privilegio” fondate sulla selezione di classe e culturale. In parte l’ambiente studentesco muta con la liberalizzazione degli accessi di inizio decennio, alcune facoltà si aprono ai diplomati degli istituti tecnici (come ingegneria, agraria, economia-commercio). Entrano così negli atenei non pochi figli della piccola e media borghesia e cambia notevolmente la tipologia sociologica degli studenti.

Molto interessante nel lavoro di Francesca, secondo Nemec, è l’esame della partecipazione femminile che, in quell’anno cruciale, inizia a svolgere un ruolo meno secondario anche se non ancora da protagonista. Le compagne sono viste ancora con qualche diffidenza, soprattutto dalla prima generazione, quali portatrici di tentazioni separatiste. In questo nuovo contesto si può notare un elemento apparentemente opposto: una sorta di mascolinizzazione delle militanti che spesso assumono vesti e atteggiamenti simili a quelli maschili. Di notevole rilievo, in queste pagine, è anche una sorta di rivendicazione, un desiderio provocatorio: ”essere orfani”. I partecipanti al ’68 vorrebbero essere svincolati dai legami familiari che sono piuttosto sostituiti dalla socializzazione tra pari negli ambiti del Movimento, dai collettivi alle convivenze.

Francesca Socrate ha poi messo in evidenza come, pur nella folta produzione di libri sul ’68, finora non sia stato trattato un tema centrale, quello delle varie componenti sociali, intese in senso lato, dei giovani che avevano dato vita al Movimento. In questo ambito le uniche fonti sono ancora quelle orali che hanno permesso di tematizzare e dare corpo a qualcosa che finora rimaneva sfuggente. Un punto centrale della sua ricerca è apparso, ancora più che le differenze economiche di reddito il dato del livello culturale di partenza. Un elemento che rimanda all’esistenza e alla consistenza di strumenti culturali nelle famiglie, ad esempio la biblioteca di casa. La prima generazione ha, in genere, ha vissuto in un ambiente dotato di una certa cultura e quindi ha frequentato i licei ed è entrata all’università già con una qualche formazione politica e intellettuale. Questi studenti (poche le studentesse) hanno svolto spesso un ruolo di leadership prendendo la parola nelle assemblee e pesando di più nelle scelte collettive. Non di rado il loro modo di partecipare alle lotte rientrava, in fin dei conti, in soluzioni di tipo tradizionale: ad esempio, non mettevano in discussione il potere dei professori o quello dei genitori.

L’analisi delle trascrizioni delle interviste ha potuto basarsi su una massa considerevole di registrazioni: 200 ore circa per più di 60 intervistati. Il linguaggio è stato considerato dall’Autrice come uno dei criteri cardine per dare significato ai vari racconti personali. E qui è stato possibile toccare con mano la differenza di genere: gli uomini usavano riferimenti di tipo oggettivo (Ad es.: “Le rivendicazioni erano…” mentre le donne comunicavano piuttosto la propria soggettività partecipante, quasi sempre per la prima volta, ad una mobilitazione collettiva (“E’ stato molto bello…”). Qualcosa di simile è avvenuto nelle differenze tra le due generazioni: la più anziana, in genere quella dei nati prima del 1945, usava prevalentemente la terza persona singolare (ad es. “Il Movimento ha deciso…”), mentre la più giovane rievocava la propria condizione personale (Ad es. “Non capivo veramente molti discorsi fatti in assemblea, ma mi trovavo bene e partecipavo con entusiasmo…).

L’ultimo punto considerato, tra i molti offerti da questo importante è stimolante lavoro, è stata la datazione della raccolta delle testimonianze: prima fase antecedente al 2014, la seconda successiva. Francesca ha rilevato il cambiamento di umore degli intervistati che, in sostanza, hanno interiorizzato negli ultimi anni una sorta di malinconia prevalente e, secondo l’autrice, questa è stata la conseguenza di una generale crisi sociale, economica e culturale oltre che politica, che ha dominato la scena negli ultimi anni. Ad ogni modo non si può trascurare il fatto che ormai i protagonisti denunciano un’età avanzata con tutto ciò che la condizione anziana comporta. Anche la memoria, logicamente, ne risente. E quasi mai positivamente.

Nel dibattito mi sono permesso di intervenire subito avendo molte osservazioni e riflessioni da fare. Ho riscontrato una sostanziale conferma dell’esistenza di due generazioni anche nel caso triestino, che si possono identificare, grosso modo, in coloro che hanno occupato la facoltà di Lettere e Filosofia, lontana dalle altre e a partecipazione ridotta, nel febbraio-marzo 1968, e quelli che hanno preso il Corpo Centrale dell’Università degli studi due anni dopo. Qui le Assemblee Generali, che hanno riempito l’enorme Aula Magna, potevano contare su una presenza attorno alle 1.000 unità, cioè una decina di volte maggiore della sorella di Lettere che aveva aperto la strada. Ho quindi parlato brevemente dei lavori in corso per la stesura di un volume sul ’68 triestino che analizzerà soprattutto l’occupazione di Economia del dicembre 1969, una svolta politica per la gran parte degli studenti frequentanti la facoltà e non solo.

Alberto Mauchigna ha quindi presentato il fondo archivistico dell’IRSREC dedicato al ’68, costituitosi a seguito della cessione delle carte conservate da Aldo Colleoni, per anni il presidente dell’Assemblea Generale, e da altri militanti dell’epoca. Ha riflettuto sull’importanza di tale fondo, pur non tanto esteso (circa un metro lineare), in quanto rappresenta il lascito di un ente di solito effimero e spontaneo quale il Movimento studentesco. Tale fondo è prezioso anche perché permette di conoscere le testimonianze dirette dei protagonisti e di apprezzare le differenze con i documenti burocratici degli organi del controllo istituzionale, dalla Questura alla Prefettura.

Un signore anziano (sessantottino?) ha chiesto se il peso delle differenze di classe si facesse sentire dentro il Movimento. L’Autrice ha confermato rievocando dei casi concreti: diverse donne, di estrazione sociale modesta, hanno ricordato che cercavano di evitare di dichiarare ai compagni in quale quartiere popolare risiedessero.

Al termine, Clara Germani, occupante del 1968, ha ricordato come, con lo sviluppo del Movimento, si fosse realizzata la rottura dei muri tra le varie facoltà. Fatto che a Magistero, anch’esso isolato dal Corpo Centrale e quasi completamente femminile, ha significato nel 1970 la solidarietà, politica e personale, con facoltà “forti”, cioè con compagni attivi, in particolare di Ingegneria, con cui si è riusciti a socializzare all’interno delle comuni esperienze.

Commento personale

Sono rimasto soddisfatto per il livello medio dei discorsi: alcuni più chiari, altri meno. Rammarico che non ci sia stato un grande dibattito al termine delle relazioni. Hanno preso la parola in tutto quattro dei presenti. Dov’erano i cari compagni (o amici?) noti come “Quelli del 68” amichevolmente riuniti ogni mercoledì al Caffè San Marco in nome della comune esperienza ritenuta importante? Qualche giorno prima, Cesare Sartori aveva scritto in termini entusiastici del libro e aveva ribadito il valore della presentazione e del confronto. Tutto ciò non ha procurato, purtroppo, effetti sensibili…

Claudio Venza