Eravamo in sei nel mio tavolo: Carlo R., Dino F., Milos B., Stathis L., Gianfranco C. e me. Nel periodo '68-'72 non avevamo avuto lunghi momenti comuni di vita, ci univa la partecipazione alla vita e alle lotte di quegli anni. Pochi aneddoti, tanti punti di domanda.
Ma a tavola - vista la presenza di Milos B. - non potevamo che incominciare a parlare dei primi di dicembre del '70, quando, dopo un'aggressione squadrista contro sloveni e socialisti, fu organizzato un grande corteo partito con 400 persone dall'Università e arrivato con quasi mille.

Fu un momento in cui si impose un intervento in sloveno in una manifestazione pubblica; al giorno d'oggi può sembrare consueto, ma è proprio questa "consuetudine" che segna i passi avanti che - anche grazie al '68 - sono stati fatti nel nostro territorio da allora. Viene da domandarsi che ne è della Comunità Slovena a Trieste: le scuole slovene sono in salute, e vedono tra gli iscritti anche diversi studenti di madrelingua italiana.
Questo territorio nasce per essere proiettato a est,

così lo volevano anche i Costituenti quando hanno creato la strana realtà, prima inesistente, del "Friuli Venezia Giulia", e per questo bisognerebbe ancora lavorare.
Qui si è innestato un nuovo discorso - scusateci se siamo stati troppo seri - sulla montagna: parte Carlo R., carnico triestino, che vede con dolore lo spopolamento della Carnia: "Bisognerebbe fare di tutto per legare le persone", "troppo poco si è fatto con le tecnologie, non si è riusciti, per l'incapacità degli amministratori, ad approfittare dei finanziamenti europei". Le tecnologie per essere in contatto nel mondo pur vivendo su un territorio in cui la distanza è un ostacolo.
Ma qui discorsi diversi si sono intrecciati, sull'identità culturale, la scomparsa delle culture, l'esplosione demografica in Africa e in Asia, il calo demografico nella nostra regione (problema molto caro a Dino F., anche perché il suo lavoro lo mette a contatto continuo con il problema delle nascite), il ripopolamento dBorgo poscolleella montagna.
La politica, in una visione mondiale, non può essere quella dei nostri anni giovanili, perché l'aumento della popolazione ha trasfigurato il mondo, porterà a cambiamenti radicali e prevedibili e conseguenze a livello sociale dirompenti. Il problema dell'integrazione dei nuovi arrivati in regione va affrontato, e Gianfranco C., la cui lunga militanza di partito lo induce a vedere già azioni e iniziative, ci parla dei problemi di chi proviene da aree religiose e linguistiche molto diverse per tradizione dalle nostre.
Quando si viene a parlare dell'Italia e di perché non riesca a sollevarsi economicamente vediamo Stathis L. farsi più silenzioso: pensa alla sua Grecia, al tracollo che ha subito e l'impoverimento di tante persone (in seguito proporrà una toccante mozione di solidarietà su questo tema). Io sono angosciato dal fatto che nessuna azione abbia finora portato a risultati se non minimi su piano dello sviluppo economico: da qui nasce la possibilità di lavorare, di avere fiducia, di costruire anche rapporti familiari. Milos B., che ha potuto conoscere nella sua attività parlamentare tante eccellenze italiane, ci dice che in Italia ognuno pensa per sé, che se ci presentassimo al mondo come "blocco" di lavoratori e industrie capaci e di qualità si aprirebbero possibilità di interazione con il mondo che potrebbe produrre risultati.
Molti altri discorsi, che nascono da speranza, dolore per la situazione di fatto, domande che non hanno risposte semplici, sono nati a tavola.
A tavola però abbiamo mangiato buoni cibi proposti da una compagna di quegli anni, bevuto buon vino, abbiamo riso, ci siamo accalorati, non abbiamo trovato l'unanimità, ma ci siamo confrontati.
Non siamo riusciti a farlo sul passato, ci sentiamo troppo persone d'oggi.
Ma senza il nostro passato non saremmo stati insieme a tavola, a riconoscerci e ri-conoscerci.