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Venne Maggio, Udine 17 aprile 2018

Evento creato da Ferdinando Ceschia per i 50 anni del '68, col il patrocinio di CGIL, CISL e UIL.

Partecipano Ferdinando Ceschia, Roberto Muradore, Giorgio Cavallo, Giampaolo Borghello, Elia Mioni, Donato Gabriele e Gino Dorigo. Coordina Giuseppe Liani.

TRASCRIZIONE DELLA TAVOLA ROTONDA*

*La trascrizione è stata effettuata dalla registrazione degli interventi, senza una revisione da parte degli oratori. Ci scusiamo per una inevitabile approssimazione o fraintendimento.

[Giacomini]

Il mio compito si limita a dare il benvenuto a tutti e a tutte voi a nome di Cgil Cisl e Uil, mi permetto solo di sottolineare il fatto che Cgil Cisl e Uil di Udine hanno messo importanti energie per realizzare questo pomeriggio, la tavola rotonda, e successivamente alle 20:30 lo spettacolo che si realizzerà al Palamostre, per rivivere appunto quel - lo abbiamo definito così - "Venne maggio", quella fase che nel mondo del lavoro, nelle fabbriche, per quanto ci riguarda nelle esperienze che tenteremo di raccontarvi negli uffici fu vissuto con intensità anche qui da noi in provincia e in regione; ma il mio compito è anche quello di ringraziare per la riuscita di questa iniziativa cui diamo via adesso,  ringraziare i protagonisti della tavola rotonda quindi Roberto Muradore, Nando Ceschia, Cavallo, il professor Borghello, Elia Mioni, Donato Gabriele e Gino Dorigo. Coordinerà e ringrazio, un particolare ringraziamento a Liani.

Il '68 è stato probabilmente molte cose; parecchie parole  sono state usate per descriverne la portata; è stato un movimento internazionale, internazionalista, poli-culturale, interclassista e molto altro ancora suppongo, ma, per il mondo del lavoro rappresentato - così lo vorremmo illustrare - il contributo importantissimo per le battaglie di obiettivi acquisiti negli anni settanta, a partire appunto dal '68.

Nella descrizione, nella realizzazione alla tavola rotonda, non vi illustreremo "il" '68 ma le diverse sfaccettature - raccontate appunto dai protagonisti, quelli che l'hanno vissuto - diverse dalle diverse provenienze: dal luogo di lavoro ma non solo, quindi con il loro portato con l'esperienza col fatto di essersi, assieme ad altri ovviamente, molti altri, messi in gioco per dare vita a che cosa: a quel grande movimento che il '68 è stato. Per me ha rappresentato un modo di stare nella Società, un modo di interpretare i problemi dei lavoratori, io che sono della generazione successiva, non l'ho vissuto, il '68, ma senza quello molto probabilmente molte scelte, il modo di il modo di essere e di interpretare i problemi della Società del Mondo del Lavoro io non li avrei intrapresi.

Grazie di nuovo e buon ascolto, con l'auspicio che nulla può essere ripetuto: non si può sperare nella ripetizione, però la speranza è l'ultima a morire visto che lo scenario che abbiamo davanti lo richiederebbe. Grazie, scusate: adesso la parola a Beppe Liani.

[Liani 0:03:28]

Dopo i saluti del padrone di casa, molto modestamente, i miei saluti. Grazie per essere qui e per aver deciso di trascorrere due ore per ricordare quello che ‘68 è stato o non è stato: dipende dalle esperienze di ognuno di noi.

Nel preparare questo incontro ho rivisto alcuni testi e alcune fotografie, su internet e mi ha colpito una frase che caratterizzava l'ironia e la autoironia di quelli che avevo in uno chiamati "sessantottini" per cui consentitemi una battuta, carissimi amici e amiche, "Dichiaro aperta l'assemblea dell'Associazione Combattenti e Reduci di Udine", [Risate], per cominciare con una risata che non vuole essere amara, ma solo un ricordo dell'aspetto, tra gli aspetti più intelligenti del '68, cioè l'ironia e soprattutto all'autoironia.

Non vuole essere quella di oggi né una celebrazione né un "amarcord", questo almeno nelle intenzioni degli organizzatori e dei relatori, vuole essere il confronto odierno sul '68, un'esperienza che ha segnato, in certi casi cambiato - lo ha ricordato adesso Giacomini - la vita di molti, convinti che il mutamento fosse dietro l'angolo. Le loro riflessioni ci aiuteranno a meglio comprendere cosa fu il '68 anche in quest'area del Paese e proprio partendo da questo aspetto, Ferdinando Ceschia ci spiegherà le ragioni che hanno spinto Cgil, Cisl e Uil di Udine ad organizzare questo incontro.

In sintesi: quali sono le questioni sollevate dal '68 ancora attuali?

Quali sono le questioni sollevate dal '68 ancora attuali?

[Ceschia 0:05:22]

Qualcuno di voi ricorderà che nel 2014 Cgil, Cisl e Uil di Udine fecero un'iniziativa che apriva una riflessione sugli anni del movimento, la chiamammo "Movimento 70".

Credo che questa iniziativa promossa da Cgil, Cisl e Uil sia, a quanto ci risulta, una delle pochissime se non l'unica promossa dal Sindacato su un periodo delicato e denso di significati come quello che cercheremo di affrontare. Non è stato facile: l'abbiamo potuto fare qui a Udine perché c'è una lunghissima tradizione decennale e ultradecennale di confronto unitario fra le nostre tre sigle, un rapporto che è fatto di lealtà, soprattutto, e di capacità di spingere gli elementi critici senza avere paura di arrivare a delle conclusioni scomode.

Parlare del '68 significa, per quanto riguarda il Sindacato, toccare un argomento nel quale il Sindacato non era solamente artefice, era bersaglio della critica. Il movimento giovanile e studentesco accusava, in quegli anni, le modalità di organizzazione del Movimento Operaio, nella fattispecie quelle del Sindacato, di essere un elemento che non comprendeva le ragioni del cambiamento, che non capiva come fosse assolutamente necessario modificare le forme stesse di organizzazione dei lavoratori.

Si parla molto spesso del sessantotto come un elemento che riguarda gli studenti, i giovani: noi abbiamo voluto invece fare questa iniziativa per ricordare, banalmente, che i lavoratori e il sindacato nel '68 c'erano in pieno, e che in quegli anni li c'era qualcosa di cui ci siamo dimenticati e che passava sotto il nome di “lotta di classe”, di cui non si parla oggi perché sembra che la nostra Società non sia più stratificata, per classi e per fabbisogni, e quindi si parla di necessità in termini astratti.

Volevamo sottolineare questo tipo di aspetto, che per noi è importante, perché in quegli anni lì non si parla solamente dell'autunno '69, che fu, come dire, per il numero di ore di sciopero e per le azioni di lotta intraprese, la “punta di diamante” dell'intero periodo e fu un elemento che aprì al cambiamento del Sindacato.

Il mio è semplicemente un preambolo di avvio, partiamo da un concetto di una deformazione che la letteratura, il giornalismo italiano ha fatto del termine "Anni di piombo": no, gli "Anni di piombo" non erano gli anni della P38, gli anni del "delirio": erano una cappa di piombo, eravamo nel pieno della "Guerra fredda", della "Cortina di ferro", il mondo intero era diviso per sfere di influenza e il terrore del conflitto atomico era un elemento che pesava nelle sorti e negli orientamenti della gente. Il moto del '68 fu un elemento che, sia da occidente che da oriente, rimise in discussione questa cappa di piombo. Lo fece in mille maniere, l'elemento al quale noi teniamo è, come detto nei preamboli, che non esiste una verità spalmata sul pane, non esiste un solo '68, non esiste una versione ideologica o politica unitaria di questo problema: il '68 sono stati “tanti '68”, hanno riguardato molti elementi di cultura politica, hanno concorso a una sorta di “pandemia” che ha cambiato le sorti.

Basterebbe confrontare quello che c’era prima e quello che c’era dopo il '68, per capire che importanza noi ancora attribuiamo a quel movimento, per le cose che è riuscito a cambiare, per il modo che ha utilizzato per riuscire a cambiarle, e, lo si diceva in termini di augurio, basterebbe solamente che ritornassero due elementi di quegli anni che hanno caratterizzato la gioventù di molti di noi. Uno era la speranza e l'entusiasmo di immaginare che il mondo potesse essere cambiato, e quindi di non arrendersi mai alle concezioni date come insormontabili, e l'altro è un problema di dimensione: la dimensione del "collettivo". Quegli anni furono grandi piccoli "collettivi", ma furono un agire insieme nel fare le cose, che è un termine che in qualche modo si è perso, nel tempo: tendiamo ad affrontare le questioni in termini individuali, non collettivi.

Ecco, l'augurio che io mi faccio, che questi due elementi, il coraggio, l'entusiasmo, in qualche modo anche la sfrontatezza nell'affrontare i problemi, senza pensare che i limiti che qualcun altro ci ha posto siano insormontabili, e – altro elemento - recuperare al nostro interno la dimensione collettiva come un elemento che fece respirare il movimento in quegli anni e di cui questo Paese avrebbe estremamente bisogno. Grazie.

[Liani 0:10:39]

Per meglio inquadrare il '68, è necessario analizzare alcuni elementi che hanno caratterizzato nel nostro Paese il dibattito politico e culturale a cominciare dai primissimi anni sessanta.

A Giampaolo Borghello il compito di ricordarci i segnali - ci tiene tanto a questo termine - i segnali che annunciavano una stagione che sarebbe stata diversa dalle altre.

I segnali che annunciavano una stagione che sarebbe stata diversa dalle altre.

[Borghello 0:10:58]

Io ho sempre questo chiodo, un po', della parola “segnali”, quindi mi riferisco a eventi, personaggi, situazioni che vengono prima del '68 e sono come lampi. Dopo un lampo può esserci una tempesta enorme, come può essere un falso allarme, e difatti tante volte mi chiedono "Ma questi segnali sono stati colti o no?" e io rispondo "un po' sì e un po' no".

Certamente, passando i decenni, i segnali sono apparsi sempre più chiari, più nitidi, più concreti e, si potrebbe dire, "segni dei tempi" in senso biblico o, come ha intitolato alcuni anni fa un libro, "[1966] Giovani prima della rivolta", perché questo è un bel modo di avvicinarsi ai segnali. Ho pensato di fare un elenco notevolissimo di questi segnali e dopo, per ragioni di tempo, mi soffermerò solo su due di essi.

Quali sono i segnali? Sono naturalmente elementi molto diversi tra di loro: gli incidenti di Piazza Statuto del 1962 a Torino, la contestazione del marzo '64 a Togliatti a Pisa, la presenza di un movimento culturale che partiva dall' estero, ma che ha avuto un'influenza italiana, dei "Situazionisti", un caso che molti di voi ricorderanno è il caso della "Zanzara" - di questo giornalino studentesco del Liceo Parini che ebbe l'"ardire" di fare un questionario sui giovani e il sesso: una cosa che oggi non farebbe voltare indietro nessuno, ma quella volta lì finì in tribunale - e poi: don Milani. Teniamo presente che la "Lettera a una professoressa", che per tantissime persone è stata una lettura folgorante, che ha plasmato generazioni, è del '67. Quando poi don Milani muore, altri elementi di questi segnali famosi sono: a Roma, alla "Sapienza", nel '66 la morte di Paolo Rossi, uno studente socialista che fu malmenato dai fascisti durante le elezioni universitarie, che poi si appoggiò a un muretto e cadde, ovviamente c'era un nesso tra il pestaggio e la caduta: fu molto importante perché ci fu una sollevazione antifascista molto forte all'Università di Roma che coinvolse anche Rettore, e tutta una classe docente capì che quello era veramente un segnale. E poi, dopo, nel '66,, l'alluvione di Firenze, i "capelloni" guardati con grande sospetto e ostilità diventano "angeli del fango"; improvvisamente, ecco, allora, questi sono tutti segnali.

Fatti di Piazza StatutoIo parlerò solo di due segnali e comincerò il tema sindacale con i famosi "Fatti di Piazza Statuto" a Torino. Dico subito che ancora oggi non c'è una interpretazione unanime, ancora oggi si discute, si litiga su cosa sia successo e chi c'era dietro, chi c'era davanti. Per farla breve era in atto una forte vertenza contro la Fiat e i Sindacati unitariamente proclamarono tre giorni di sciopero, 72 ore, il 7, il 9 e il 10 luglio 1962: quindi siamo proprio nei termini dei segnali, e cosa successe? Mi dispiace qui, l'amico Ceschia sa meglio di me:  due sindacati ruppero il fronte e firmarono l'accordo con la Fiat, uno era la Uil - è per quello che ho chiesto scusa prima - e uno era il Sida. Cos'era il Sida? Era quello che si definisce tecnicamente un "sindacato giallo", cioè di quei sindacati di comodo: il Sida è di fatto un sindacato potente, ci sono libri interi sul Sida, che era stato messo in moto dalla Fiat. Questi due sindacati firmarono in anticipo, quindi si tolsero dallo sciopero. Così successe spontaneamente, poi vedremo in termini esatti, che moltissimi giovani si recarono in Piazza Statuto a Torino per manifestare l'ostilità, diciamo pure l'odio, verso questo atto di rottura dell'unità, cercarono di dare l'assalto alla sede della Uil e lì ci fu uno scontro. All'inizio di questi scontri, diciamo per capirci mille dimostranti e 500 poliziotti, si fini a cariche, ci furono un sacco di fermi e di arresti e questi scontri si intensificarono poi nella sera del sabato, tacquero la domenica e ripresero lunedì. La discussione, come dire, che ancora oggi si fa: erano giovani che spontaneamente volevano contestare questa rottura sindacale o erano anche provocatori, e lì c'è tutta una disputa che ancora oggi ripete e divide, nel senso che ci sono anche dei racconti di Garavini, che si sentì inseguito, che era segretario Fiom, con minacce e via dicendo. Una cosa molto saggia disse nove anni dopo Giorgio Benvenuto: questi fatti, al di là delle interpretazioni, sono molto importanti perché segnano la fine degli accordi separati. Pensate! - l'esponente della Uil - la fine degli accordi separati, io ricordo Umberto Segre, che osservò che nel processo i due terzi degli imputati erano provenienti dal Sud, qualcuno aveva in tasca la tessera dalla Uil, per dare un'idea dei temi tutto questo poneva dei problemi riguardavano ovviamente le migrazioni, le grandi migrazioni dal Meridione, il cambio della faccia di Torino e la presenza di una classe operaia giovane e che in qualche modo prelude al cosiddetto "operaio massa". Poi dopo ci sono varie questioni riguardanti i Quaderni Rossi ma passò al secondo episodio.

Il secondo episodio è la famosa contestazione a Togliatti nel marzo del '64. Praticamente a Pisa la Scuola Normale e la direzione, di intesa con gli studenti, aveva invitato grandi esponenti dei partiti politici italiani a parlare della politica italiana durante la resistenza e poi dopo nell'immediato dopoguerra. Per il Partito Comunista ci fu Togliatti, in una serata memorabile serata a Pisa nel '65 (un episodio che, come dico io, “si era attaccato sui muri”: un pieno enorme di gente, c'era anche qui la base pisana). Il discorso che fece Togliatti è un discorso molto prudente che collegava la storia del PCI alla storia d'Italia. Diciamo, per capirci, che Togliatti si aspettava obiezioni da destra, e anche alcuni miei amici diciamo "conservatori" hanno detto è stato molto abile e prudente; invece gli attacchi arrivarono a sorpresa da sinistra: per i tempi non dico fosse oltraggioso, ma certamente fuori dalle righe, osare mettere in discussione la figura di Togliatti. Adriano Sofri chiese in maniera molto brusca "perché non avete fatto la rivoluzione del '44?" e Togliatti disse "Beh, in fondo c'è stata a Jalta di mezzo". Per cercare di capire la politica del PCI in quegli anni, il mio carissimo amico Cazzaniga fece una domanda un po’ più tecnica, ma che era anche questa acuminata: "la nozione di egemonia appartiene più alla sociologia americana o al marxismo?" punto di domanda e Togliatti rispose; ci furono poi e poi le leggende metropolitane su quello che successe dopo, quando finì la conferenza, se andarono a cena, non andarono a cena, cosa si dissero L'aspetto importante è che dopo due settimane Togliatti fece un articolo che io, permettetemi, dico "geniale" su ⇒ Rinascita dicendo "questi giovani contestano la politica del Partito - e lui la difese con argomentazioni tutte serie - però questi giovani in realtà non parlano di quello che in quel momento, nel '44, nel '45 si era svolto, ma parlano dell'oggi, dell'oggi, vogliono discutere di Socialismo, del rapporto tra democrazia e socialismo. Beh, considerate che nel '64 non era da tutti aver colto questa dinamica. Dopodiché si dice - finisco - che appunto Togliatti avesse invitato Sofri a Roma, ma nell'agosto del '64, Togliatti muore e quindi il discorso morì, però è un episodio famoso su cui ancora si discute. [Applausi]

[Liani 0:21:11]

Da sinistra, la tua sinistra, cartellino giallo e richiesta della prova VAR per lo sforamento. Il '68 scuote anche il mondo cattolico, nella sua articolazione associazionistica e sindacale, mettendo in discussione l'egemonia della DC: quale fu la reazione della Democrazia Cristiana ce lo ricorda Giorgio Cavallo.

Il '68 scuote anche il mondo cattolico, mettendo in discussione l'egemonia della Democrazia Cristiana: quale fu la reazione della DC?

[Cavallo 0:21:36]

Sì, diciamo che il mio resoconto di quegli anni non e quello di un protagonista, perché io vengo da molto prima, ho cominciato a interessarmi di politica dalla guerra di Corea alla guerra dell'Indocina, tanto per capirsi, dal periodo coloniale.

Il ragionamento che voglio fare è in qualche modo contiguo a quello fatto da Borghello poco fa, cioè gli anni '60, quindi quelli che precedono il '68, non sono anni di tranquillità sociale, assolutamente, sono anni molto importanti e mossi, sia sul piano politico che sul piano culturale. Sul piano politico si parlava del '64, ma tenete conto che in quell'anno l'esperienza del centrosinistra perde quel valore, diciamo così, di "novità" che aveva precedentemente, e si capisce che nell'ambito del centrosinistra sarebbero comunque continuati i meccanismi dell'egemonia democristiana, quindi ne discendono le rotture nel PSI, soprattutto all'interno delle fabbriche, e anche all'interno delle analisi che vengono fatte del modo di produrre, dei rapporti all'interno della classe operaia, cioè un momento di enorme capacità interpretativa e di valorizzazione di un punto di vista, appunto, di "classe", come allora si diceva. Dentro questo periodo la nostra realtà è piuttosto agitata, in maniera comprensibile in alcuni casi, un po' meno in altri. Io cito due questioni. La prima è il cambio di strategia atlantica conseguente alla crisi di Cuba. La crisi di Cuba ha un'enorme influenza sul Friuli dal punto di vista proprio strategico, perché da una politica di deterrenza nucleare su scala globale, per cui gli americani avrebbero dovuto sparare i missili sulla Russia, così come i russi da Cuba avrebbe dovuto sparare sugli Stati Uniti, si passa - invece - ad una deterrenza nucleare regionale, cioè legata ai territori, per cui Turchia, Italia, Nordest e Germania vengono dotati di testate nucleari che servono ad arrestare il nemico da far cadere nel loro territorio. La Stampa 3 novembre 1990Quindi noi avevamo un cambiamento di strategia militare; allo stesso tempo cambia anche un'altra questione politica molto forte nella nostra regione cioè il ruolo di Gladio. Gladio, negli anni '50, era una struttura militare secondo me anche giustificata, cioè in caso di arrivo del nemico noi dobbiamo organizzare in qualche modo la resistenza… Nel '60 invece Gladio diventa la connessione tra servizi segreti e neofascismo, in funzione anche di obiettivi eversivi: colpi di Stato che nascono sia nell'ambito dei carabinieri, prima, per arrivare poi negli anni settanta all'ambito del Corpo forestale.

In questa realtà come si muovono le situazioni? Le situazioni si muovono dando dei segnali, segnali che io noto nel mondo “cattolico”. Di quegli anni sono, in Friuli, la famosa lettera dei parroci [di ⇒ Glesie Furlane] che contestano la realtà territoriale del Friuli. Pur avendo iniziato ad operare, la Regione Friuli - Venezia Giulia nel '64, c'è l'immigrazione, ci sono le servitù militari, c’è la mancanza di infrastrutture e c'è soprattutto una contestazione del ruolo del Vescovo che, tutto sommato, faceva degli affari “interessanti”, dal suo dal suo punto di vista.

Io ho vissuto in quel periodo a Gorizia, seguivo la politica universitaria, per cui nei primi anni sessanta facevo parte degli organismi rappresentativi, che erano strutturati politicamente tra componenti di destra, di sinistra, con, a Trieste, una "bella", diciamo, presenza dell'estrema destra: con alcuni che poi dopo finirono nella strategia della tensione.

Proprio a Gorizia nacquero contestazioni nel mondo cattolico sul modo di utilizzare i soldi del “Fondo Gorizia” per la costruzione di una palestra, cioè in quegli anni all’inizio degli anni '68, iniziano fenomeni di contestazione locale caratterizzati da piccole questioni, ma che poi diventano un momento di contagio anche politico all'interno della Democrazia Cristiana.

ACLI - Livio LaborAlcune forze - è chiaro qui il riferimento a quelle delle ACLI, ma soprattutto alla sinistra DC con Donat Catten e la FIM con Carniti -  fanno capire che vorrebbero costruire una forza politica di sinistra, quindi nasce un esperienza molto limitata, molto particolare, che finirà nel '72 con la sconfitta elettorale e del MPL - con la mia prima candidatura in una elezione politica amministrativa -che scompare, per poi finire questo mondo, diverso da quello che precedentemente. nel mondo cattolico, si era sviluppato con l'enciclica “Populorum Progressio”.

 Sono i primi anni sessanta: è un modo diverso di interpretare la realtà, più vicino al movimento del 68, modo che, da una interpretazione di sinistra, dà poi origine all'interno del PCI ai famosi “indipendenti”. Quindi c'è questa realtà che si costruisce e vive nel territorio. All'epoca frequentavo le parrocchie, perché ero uno degli esponenti, dirigenti della Federazione Italiana dei Cineforum, quindi fino al '72 ogni due tre sere finivo in qualche comune a presentare dei film dove si aprivano i dibattiti, e lì si vedeva una volontà abbastanza forte della gente di confrontarsi, ma soprattutto di scontrarsi in maniera dialettica. Prima democristiani e comunisti non si parlavano, all'interno di questa realtà, il modo nuovo era quello di cominciare a dare a ognuno la sua interpretazione... quindi è un mondo che si apre e che poi, ripreso l'MPL finirà in parte nel PSI, con alcuni dirigenti di peso, in parte nel PCI, in parte nella forze della sinistra cosiddetta extra-parlamentare o rivoluzionaria.

Ecco questo, è l'ambito che secondo me è più interessante per la nostra realtà. Contemporaneamente nacquero realtà “autonomiste”, come il Movimento Friuli che un po' grazie all'etilismo, un po' grazie ad una presenza propria, riuscì a fare tre consiglieri regionali nel 1968 alla direzione regionale. Etilismo perché il rappresentante socialista si fermò in osteria e non presentò la lista [nella circoscrizione di Udine]: insomma… quindi da lì… [Risa] e questa è storia...

[Liani 0:29:04]

Hai fatto bene a precisarlo perché sembrava che fosse il Movimento Friuli in preda al "Momo", come si dice in friulano

[Cavallo 0:29:13]

L'etilismo ha molta importanza nella storia del Friuli. I 130 depositi di Gladio di armi furono smantellati nel 1972 da Andreotti per un motivo molto banale: erano sotto sotto il controllo del colonnello generale Specogna, che aveva un po' il comando di Gladio, che sapeva dov'erano questi depositi, e a un certo punto - a parte qualche deposito che viene preso da alcuni fascisti da cui poi fu ricavato l'esplosivo... - raccontava in osteria dove erano questi depositi, e a un certo punto il Governo disse "Qui bisogna assolutamente farli sparire”. Ne sparirono tutti meno 2 o 3, dove nel frattempo si era costruito... il cimitero e così via... Alcuni probabilmente ancora forse sono lì con le armi... Questo era per dire com'era il clima dell'epoca e soprattutto come questo clima in qualche modo contaminasse tutti gli ambienti, anche se non aggredì la Democrazia Cristiana in maniera forte, perché poi Donat Cattin e Carniti, si ritirarono quindi Labor si trovò solo, con le ACLI, in quel momento però si apre uno spazio di discussione che è notevolmente interessante per gli anni successivi. Grazie.

[Liani 0:30:32]

Grazie anche per questo ho fatto inedito della gente... nome di copertura "Momo" . "Al plâs il momo"...

[Cavallo 0:30:39] … è nei libri di Storia.

[Liani 0:30:44]

Dunque adesso la parola a Gino Dorigo che una decina d'anni fa, se non sbaglio, ha scritto un libro che racconta la sua esperienza di operaio e di sindacalista. In quegli anni, come si viveva in fabbrica il '68, che a torto o a ragione veniva identificato allora solo come un movimento studentesco?

Come si viveva in fabbrica nel '68, che spesso veniva identificato con il  movimento studentesco?

[Dorigo 0:31:15]

Beh, il '68 proprio io non l'ho vissuto in fabbrica, l'ho vissuto sotto la naja in Marina: c'era la leva di mare per tutti i giovani metalmeccanici, due anni - i siderurgici - a fare la naja. Son tornato e ho trovato gli studenti, sul portone della fabbrica. La cosa non era semplicissima, come primo approccio, perché sì, la rivoluzione, Marx, però questi qua, noi li vedevamo come dei privilegiati, figli di papà; tantissimi lo erano, non tutti: alcuni se la guadagnavano la pagnotta, studiando e lavorando ma la stragrande maggioranza, quelli lì dello Stellini... li vedevamo in faccia... e allora ricordo che il primo striscione, quello "Operai e studenti uniti nella lotta" accettammo di scriverlo proprio perché gli operai venivano prima dagli studenti. Operai. Poi ce n'era un altro ancora più bello "I lavoratori della Bertoli uniti nella lotta di classe per una società senza classi": era il nostro orgoglio, e lo portavamo dappertutto.

Sì, per noi il '68 fu l'autunno caldo, come ha detto un Nando prima, furono le grandi battaglie sindacali, in una realtà, come quella del Friuli, dove, sì, c'erano stati grandi episodi ed esempi di lotta prima, ma in cui un movimento così esteso da un punto di vista sindacale non c'era mai stato. Ricordo le grandi manifestazioni operaie per Udine, le prime grandi manifestazioni operaie per Udine e quelle signore lì, che ci vedevano passare "ma cosa vòli 'vèr quelli lì", "Eh, signora xe il sindacato che rovina l'Italia..."  Dio... anche oggi...

Però, la grande svolta è quella legge: lo Statuto dei diritti dei lavoratori. L'inquadramento unico, per esempio, la retribuzione: la paga, per la prima volta nella storia sindacale del Friuli, ma non solo, diventava un elemento di discussione collettiva dentro la fabbrica Se prima, se la fabbrica aveva 50 operai, erano 52 modi di retribuire quegli operai “e non dirgli a quell'altro quello che ti do…”, anche se tutti e due facevano lo stesso lavoro: dividi e comanda. E con l'inquadramento unico si comincia a discutere, la paga diventa un elemento collettivo di ragionamento, e la mansione per la quale devo essere pagato, e i miei diritti...

Io ricordo che a uno dei fondatori dell'industria friulana che la menava con quella "Ma qua siamo tutta una famiglia, cosa vieni..." ho detto "Guardi che qua, la gente non viene mica perché deve cercare il papà e la mamma, ma viene perché devono lavorare, hanno diritto a una retribuzione, devono sapere che retribuzione hanno in funzione di che lavoro svolgono”. Non era mica semplicissimo farla capire anche i padroni, ‘sta storia qua... E poi le assemblee, pagate e retribuite sul posto di lavoro i delegati di reparto, i delegati di fabbrica.

Una volta portammo Lizzero fuori dalla Bertoli e lì una commistione strepitosa: la Costituzione entra nelle fabbriche, cittadini fuori, cittadini soprattutto dentro. Una grande battaglia di libertà e di civiltà che, secondo me, ha anche dato dei risultati perché ha segnato, ha caratterizzato la cultura, la mentalità,  l'etica, in Friuli, e tutto questo poi noi lo ritroviamo per buona parte negli anni successivi specialmente negli anni della ricostruzione del Friuli.

Quindi un movimento sindacale che cresceva, una consapevolezza che veniva raggiunta, che specialmente noi giovani raggiungevamo: tu rompevi con la cultura dei "sotàns" insomma no... "del paròn, eh, ma ti da di vôre" e "Jo, ce dai jo a lui, la vite".

Ricordo un altro episodio... era la Settimana Santa e la direzione aveva preso un fratacchione che veniva a farci la predica ogni mezzogiorno lì sul portone, perché poi ci sarebbe stata la messa... quando questo qui ha cominciato a rompere le palle dicendo che noi siamo giovani, non abbiamo capito, quel padrone lavora anche più di noi perché lui lavora di notte, e che bisogna riconoscere e che bisogna rispettarlo... lo abbiamo tirato giù dal palco, eh, questo era un po' il clima.

Dopodiché torno a quello che dicevo all'inizio: c'era il modo da stare assieme, le lotte da mettere in piedi, la presenza degli studenti nei cortei dei lavoratori, presenza che qualche volta era gradita qualche volta meno, qualche volta si confliggeva, ma il più delle volte funzionava, perché il movimento poi cresceva anche con il contributo di tutti.

Gino DorigoUna cosa ancora che posso dire: noi rompemmo anche con quella che era per certi aspetti la generazione dei sindacalisti prima di noi; non parlo degli episodi della Fiat. Per esempio nella mia fabbrica parlo di compagni, della CGIL e del Partito Comunista... e partigiani, gente che aveva difeso la fabbrica con la pistola sul tavolo nelle prime trattative,  dai tedeschi in fuga, e che ci vedevano con diffidenza perché pareva loro che noi rompessimo con tutto un mondo che loro avevano costruito, ma noi andavamo troppo veloci, poi pian piano le cose si aggiustarono, ma io me li ricordo ancora addosso adesso, no, "Va’, taiti i cavei, con chei cavei tu somèis a un zingar.. tu mi fasis pierdi votos..." quindi c'era quel tipo di quel clima lì, questo tipo di rapporto conflittuale e non, quindi io penso tutto sommato: una grande grande stagione, con la quale ci siamo un po' confrontati tutti sulla quale abbiamo maturato  tutti un pezzo importante della nostra vita, che secondo me va anche raccontata e studiata per quello che succederà qualche anno dopo Ma qua mi fermo, perché poi qui c'è tutto un capitolo che quello del terrorismo in Friuli, che riguarda anche quelli come me, perché io, un altro della Bertoli e uno della Solari ricevemmo per la prima volta in Friuli [delle lettere]: erano autentiche, il capo di gabinetto ce lo disse, era la prima volta che la Polizia di Udine vedeva delle lettere delle Brigate Rosse, e c'erano state mandate perché eravamo stati “segnalati come dei rivoluzionari” come della gente che insomma si ribellava “ci avrebbero contattato in seguito…” ma per fortuna così non andò!

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