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15 dicembre 2020 - Pubblichiamo l'audio e la trascrizione dell'intervista, scusandoci per eventuali errori di trascrizione. Le interviste, di cui questo libro è una specie di "introduzione", verranno pubblicate dall'IFSML nel gennaio 2021.


E ora a Casa Friuli parliamo del 68, quando la fantasia sembra poter cambiare il mondo e lo facciamo con Giampaolo Borghello, per molti anni ordinario di letteratura italiana e direttore del dipartimento di italianistica dell'università di Udine. Benvenuto.

Grazie anche a voi

Ecco, l'occasione di questo nostro incontro, ci è data dall' uscita del suo nuovo libro intorno al 68 voci, luoghi e parole. Come è nata l'idea di questo tuo nuovo libro?

Dunque l’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, che fa parte della Rete nazionale Parri, attraverso la sua direttrice Monica Emmanuelli, mi ha proposto di fare una ventina di video interviste .Dovevano essere “storie di vita”, diciamo così: persone che in modo nell'altro con età diverse, con opinioni politiche diverse avessero, per così dire, attraversato l ’68; quindi ‘68, ma non solo quello, quello che c'era prima e quello che è venuto dopo.

Quante interviste avete fatto, chi avete scelto e quali sono le linee guida che avete seguito?

In tutto sono 21 interviste e abbiamo scelto, come dire, consensualmente, nel senso che parecchi nomi c'erano venuti in mente a tutti e due, poi dopo ci sono state proposte sia mie che di Monica; insomma, alla fine, abbiamo costruito questo equipaggio e siamo andati avanti alcuni mesi a fare queste interviste. Diciamo che l'obiettivo a medio termine sarebbe quello di metterle “in rete”, così uno può vedersele tutte; naturalmente sono anche - alcune - molto lunghe, quindi nel frattempo abbiamo pensato di preparare questo libro che doveva essere in qualche modo di introduzione di accompagnamento.

Certo. Per capire meglio, diciamo chi avete incontrato, ci puoi parlare in particolare di un uomo e di una donna che hai scelto?

 Sì, allora diciamo che, per prendere due casi emblematici, prenderei quello di Alessandra Kersevan e di Giannantonio Collaoni.
La Kersevan ha raccontato la sua formazione familiare, anche politica, nell’ambiente di Monfalcone, poi – dopo - ha messo a fuoco le sue scelte scolastiche, in parte obbligate, cioè ha fatto la Ragioneria - anche se non aveva una vocazione specifica, come riconosce lei stessa - perché a Monfalcone c'era la sede staccata da Gorizia. Dopo, a quei tempi, cosa che oggi sembra stranissima, c'erano dei limiti molto forti per chi finiva le scuole superiori, quindi lei ha potuto iscriversi a Economia e Commercio perché era l'unica possibilità, venendo dalla Ragioneria. Poi a un certo punto, nel ’69, esce la cosiddetta “Legge Codignola”, che consente liberi accessi, quindi passa subito da Economia e Commercio a Lettere: la sua vocazione vera, come riconosce nell’intervista, era studiare la Storia contemporanea. E difatti scherzosamente dice che è stato ribattezzato “San Codignola”, perché effettivamente ha costruito, con questa apertura a livello nazionale, un fenomeno enorme. Tra l'altro è molto interessante che lei, nell’intervista accenna alla sua difficoltà come Donna, di parlare in pubblico e vede che i figli della buona o alta borghesia erano molto più sciolti nel parlare. Un altro aspetto che mi è sembrato molto interessante, qui poi mi aggancio con Giannantonio Collaoni, è che ha sottolineato la grande importanza di “Lettera a una Professoressa”, il libro della scuola di Don Milani. Questo è un fatto importante, che mi ha molto colpito nelle interviste, perché si legge sempre sui libri, l'importanza della scuola di Barbiana e Don Milani, però, sentirselo ripetere proprio da tutti, da tutti, con tagli diversi mi ha molto colpito.

Immagino

Poi,  Collaoni: è una storia tutta diversa. La formazione a San Vito Tagliamento, è stato mio compagno di Liceo, e quindi si inserisce la dialettica, al tempo ribadita da molti, tra chi stava Udine e aveva un giro di conoscenze, telefonate, e chi invece veniva da fuori e quindi appena finita la lezione, scappava via. Tant'è vero che la nostra amicizia per essere autobiografici, si è sviluppata dopo finito il Liceo. Poi sceglie, per la sua antica passione, di fare Lettere a Padova e anche lui reputa centrale la lettura della scuola di Barbiana “Lettera a una professoressa”. C'è questa idea, che anche la Kersevan ha ripetuto, questa specie di grande spinta, anche un po’ illusoria: portare i contenuti e della contestazione del ‘68 dentro la Scuola, dentro la Scuola. Per la cronaca, poi ha fatto anche negli anni successivi l'assessore alla Cultura a Pordenone. Sono due casi emblematici, però appunto l'importanza di “Lettera a una professoressa” è un dato unificante.

Certo, ricordiamo che sono due personalità comunque del 68 in Friuli Venezia Giulia  Collaoni, in particolare, è stato un portavoce nei dibattiti, anche dentro l'Università, mentre ricordiamo che la Kersevan ha questa casa editrice, la Kappa Vu, e che poi ha portato avanti anche tanti messaggi, attraverso la pubblicazione dei suoi libri.

Certamente.

Ecco qual è complessivamente oggi il giudizio da parte di chi, come loro ha partecipato, ma anche da parte tua, sul ‘68.

Diciamo che statisticamente rispetto agli intervistati, il giudizio è in complesso favorevole, decisamente, ma anche parlando in giro con gli amici miei coetanei Ci sono anche dei casi, peraltro interessanti, di rimozione, di qualcuno che vuole rimuovere un pezzo della sua vita come se si potesse saltare a pie pari. Ecco, mi è sembrato molto interessante - emerge anche dal libro - la posizione di Antonella Lorenzoni, la quale dice, ma perché dobbiamo dare un giudizio sul ‘68? Tutti gli eventi poi si trasformano, cambiano, è una realtà in movimento, quindi non è che dobbiamo dare un giudizio, questa è una cosa che mi ha fatto molto riflettere. Diciamo poi che da parte di quelli che non c'erano, per ragioni oggettivamente anagrafiche, ho sempre riscontrato nei più sensibili, diciamo, una grande curiosità, una grande curiosità di capire, di sentire come erano quegli anni, l'atmosfera, ma anche di immaginare come si creavano i rapporti fra le persone, come dire “l'atmosfera complessiva”

Certo anche dal tuo punto di vista, Giampaolo Borghello, cosa è stata quindi questa contestazione del 68

Dovendo essere sintetici al massimo direi che è stato un grande movimento generazionale, quindi questo aspetto generazionale non va sottovalutato, ma anche un movimento che è stato squisitamente politico, con dei contenuti politici, partendo da una realtà relativamente circoscritta come l'Università e poi allargando il discorso verso tutta la Società e direi verso tutto il quadro internazionale, pensiamo alla guerra nel Vietnam, nel senso che ci si rendeva conto che non ci si poteva limitare a quello che succedeva negli Atenei, ma che non era pensabile un ateneo perfetto in una società largamente imperfetta. Quindi questo è, diciamo, l'aspetto.

Secondo te il 68 ci può insegnare ancora qualcosa?

Mah, io credo di sì, non per caso tante volte l’ho studiato e tante volte ci ho riflettuto. Diciamo intanto, una considerazione non scontata, che senza una viva partecipazione in prima persona non si va da nessuna parte. E io poi penso che fa riflettere anche sulla nozione di ideologia, cioè oggi si dice spesso trionfalmente “Ah, le ideologie sono cadute, non esistono più”: non è un fatto positivo, perché l'ideologia significa avere una concezione del mondo e della storia, e senza dei parametri, una linea, un quadro complessivo, è difficile capire quello che ci sta intorno, ecco. Io credo ci fosse anche una forte spinta a nuovi contenuti aperti, più ricchi, c'è un allargamento anche nel modo di studiare nel modo di riflettere sui libri, sulle cose, questo è l'aspetto positivo.

Certo, invece in cosa è fallito il ‘68?

Diciamo che anche dal libro viene fuori in maniera unanime una considerazione, cioè si pensava in quel momento che le conquiste fatte fossero subito acquisite per sempre. Invece c'è stato poi un secondo periodo, quello che Andrea Sartori ha chiamato “il girone di ritorno” in cui le cose non fissate, non difese, sono poi andate: è saltato tutto, ecco, o parte, diciamo. Quindi questo insegnamento è importante, cioè le conquiste vanno sempre ribadite questo abbiamo imparato come dire amaramente.

Il '68 di Giampaolo BorghelloCerto. In fondo al libro hai raccolto, hai fatto un simpatico elenco di libri, film, canzoni preferiti da parte degli intervistati, e poi c'è una tua auto intervista? Ecco per te questa esperienza cosa è stato rivivere per te quei momenti?

Diciamo che io, come dire, dal punto di vista dello studio la lettura mi sono occupato per tanti anni, no, prima ho preparato un libro che si intitola “Linea rossa”, in cui ci si occupa degli aspetti storico-culturali, ideologici, poi dopo, per sei anni, ho preparato pazientemente una maxi antologia “Cercando il ‘68”, pubblicata da Forum editrice, in cui ho disegnato anche il quadro politico generale. Diciamo che esistenzialmente, avendo passato quegli anni a Pisa, penso sempre di essere stato fortunato, ero nel posto giusto al momento giusto. Non capita spesso capita di essere nel posto giusto al momento sbagliato o viceversa, questo diciamo mi dà una notevole, come dire, “carica”, ecco, mi fa piacere perché ripensando colgo certe connessioni, certi nessi.

Certo. Giampaolo Borghello in questi giorni in Friuli si è parlato molto di Tito Maniacco, hai un suo ricordo?

Certamente: una lunga amicizia, io ho tantissimi libri suoi con delle belle dediche sempre personalizzate. Uno dei punti che Tito ripeteva sempre era che io ero stato il suo primo presentatore in pubblico: nel lontanissimo 1975, quando ero appena tornato da Pisa, ho presentato un libro di racconti di Tito intitolato “L'albero dentro la casa”. Questo episodio lo ha sempre colpito, è stata una specie di primogenitura.

Ecco, Giampaolo Borghello, abbiamo parlato del suo libro “Intorno al 68. Voci, luoghi e parole”: lo trovate in libreria o all’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione. Con quale canzone vogliamo salutarci?

Beh, c'è un come si dice, con parole inglese evergreen, u sempre verde, che è “Azzurro”, di Paolo Conte, cantato da Adriano Celentano, che ci dà una nota positiva che negli anni rimbalza, era una canzone del momento

Bene allora su queste note ricordiamo il titolo del libro “Intorno al 68. Voci luoghi e parole” di Giampaolo Borghello, che ringrazio. Grazie a voi e dopo una breve pausa musicale Casa Friuli continua.